Abortività ripetuta

Abortività ripetuta

 

Nicoletta Di Simone, Chiara Tersigni, Silvia D’Ippolito, Alessandro Caruso.

 

Definizione ed epidemiologia

L’aborto, la più comune complicanza della gravidanza, si definisce come l’interruzione spontanea della gravidanza entro le 24 settimane di gestazione. Sebbene il 15% delle gravidanze clinicamente riconosciute esiti in aborto, si ha motivo di ritenere che il 50% del numero totale delle gravidanze, comprese quelle non riconosciute clinicamente, evolva in aborto.

Si distinguono tre tipi di aborto: occasionale, ripetuto e ricorrente. Si parla di aborto ripetuto quando, nella storia ostetrica di una donna, si verificano due episodi consecutivi di aborto entro la 20esima settimana di gravidanza. Questa condizione si riscontra in circa l’1% delle coppie in età fertile. L’aborto ricorrente è, invece, definito come la presenza di tre o più episodi consecutivi di aborto spontaneo. Attualmente, si parla genericamente di poliabortività e si attua uno screening in tal senso a partire dal secondo episodio consecutivo di aborto.

 

Fattori di rischio

La maggior parte degli studi riguardanti l’effetto delle esposizioni ambientali sulla gravidanza si sono concentrati sulla percentuale di aborti spontanei piuttosto che di aborti ricorrenti. Nonostante i risultati controversi, si ha motivo di ritenere che l’esito della gravidanza sia condizionato da alcuni fattori ambientali.

Il fumo di sigaretta ha un effetto avverso sulla funzione del trofoblasto ed è associata ad un aumento dose-dipendente del rischio di aborto. Uno studio condotto da Miceli et al. nel 2004 ha messo in evidenza l’effetto inibente che la nicotina ed i suoi metaboliti hanno sulla produzione di progesterone e sul rilascio di PGE2 da parte delle cellule luteali umane, che risultano ridotti in maniera dose-dipendente rispetto all’esposizione1. L’uso di cocaina determina un rischio indipendente di perdita fetale mentre l’assunzione di alcool ha un effetto avverso sulla fertilità e sulla crescita fetale. È stato dimostrato come il consumo moderato di 3-5 unità di alcool a settimana aumenti il rischio di aborto2. Anche il consumo di caffeina è associato ad un incremento dose-dipendente del rischio di aborto, che aumenta quando l’assunzione supera i 300mg (tre tazze) di caffè al giorno3. Alcuni tipi di esposizioni occupazionali, come lavorare con alcuni gas anestetici in sala operatoria, avrebbero un effetto avverso sulla gravidanza, anche se queste rimangono delle evidenze piuttosto controverse. Sembra, inoltre, che la probabilità di aborto possa aumentare a causa dell’uso di FANS e di farmaci anti-depressivi durante il periodo del concepimento4.

Infezioni con batteri, virus e parassiti possono tutte interferire con lo sviluppo precoce della gravidanza, ma nessuna di esse sembra costituire una causa significativa di aborto ricorrente. Lo screening per Toxoplasmosi, Rosolia, cytomegalovirus ed herpes (TORCH) ha quindi un valore limitato nello studio dell’aborto ripetuto, al di fuori di un episodio di infezione acuta5.

Il rischio di ricorrenza dell’episodio abortivo aumenta con l’età materna e con il numero di aborti consecutivi6. In particolare, l’età materna al momento del concepimento, è un forte fattore di rischio indipendente per l’aborto, dovuto ad un’aumentata incidenza di anomalie cromosomiche. Il rischio di aborto incrementa progressivamente dall’età di 35 anni, aumentando dal 9% a 20-24 anni al 75% a 45 anni ed oltre (Tabella 1).

La storia ostetrica rappresenta un fattore predittivo dell’esito di una gravidanza futura. Donne primigravide o con una storia di nati vivi hanno un rischio di aborto più basso rispetto a donne la cui più recente gravidanza sia esitata in un aborto. Diversi studi, sia retrospettivi7 che prospettici7-8, hanno infatti dimostrato come il rischio di aborto aumenti con il numero degli aborti successivi. Esso raggiunge il 17-35% dopo due aborti spontanei, il 25-46% dopo più di 3 aborti, mentre supera il 50% dopo sei aborti9.

 

Cause di aborto ricorrente

Nella maggior parte dei casi di poliabortività non è possibile trovare una causa certa alla base di questa problematica. Tuttavia, tra le principali cause note come fattori predisponenti all’aborto ricorrente si individuano le anomalie cromosomiche (5%), le malformazioni uterine (dal 15 al 27%) e patologie materne (dal 20 al 50%), quali le infezioni del tratto genitale, le esposizioni a farmaci e tossine, le alterazioni endocrine, le trombofilie congenite ed acquisite10.

 

Anomalie cromosomiche

La causa di un aborto spontaneo si individua raramente ma può essere identificata nel momento in cui c’è nel prodotto del concepimento una anomalia genetica incompatibile con uno sviluppo normale. Le anomalie cromosomiche rappresentano la causa più frequente di aborto spontaneo sporadico e si ritrovano nel 50-70% degli aborti spontanei del primo trimestre e nel 5-10% di tutte le gravidanze. Dunque, nel caso di aborto ripetuto in una coppia, la ricerca di patologie genetiche può spiegare alcuni di questi eventi. Le direttive recenti sono la ricerca di traslocazioni parentali e di errori di inattivazione dell’X. Boue et al. hanno studiato nel 1975 il cariotipo di aborti spontanei sporadici ed hanno individuato nel 75% dei casi anomalie cromosomiche nell’ambito delle quali il 94% erano anomalie di numero (54% di trisomie [16,18,21,22], 20% di triploidie e poliploidie e 20% di monosomie X) ed il 6% anomalie di struttura; nella metà dei casi erano state ereditate da un genitore portatore di una traslocazione bilanciata11.

Nell’ambito di una serie di 422 cariotipi provenienti da coppie che avevano avuto in precedenza almeno tre aborti spontanei, Stephenson et al. hanno individuato nel 54% anomalie cromosomiche, tra le quali il 96% erano anomalie di numero (66,5% di trisomie, 10% di poliploidie e trisomie, 9% di monosomie X e 0,5% di associazione T21 e monosomia X) ed il 4% anomalie di struttura (traslocazioni sbilanciate)12. La percentuale di anomalie del cariotipo su trofoblasto diminuisce con il numero di aborti spontanei come mostrato da Ogasawara et al., i quali hanno osservato una anomalia di cariotipo embrionale in più del 50% degli aborti successivi a due aborti spontanei precedenti e solo nel 25% degli aborti preceduti da più di sei aborti spontanei13.

Le anomalie cromosomiche del prodotto dell’aborto sono dunque meno frequenti quando gli aborti si ripetono, ma la distribuzione dei differenti tipi di anomalie è la stessa tra gli aborti sporadici e gli aborti ripetuti.

Anomalie del cariotipo parentale si ritrovano nel 4,2-6% delle coppie con almeno una storia di due aborti spontanei. Esse sono più frequenti nelle donne rispetto agli uomini. L’anomalia di più frequente riscontro nelle coppie con aborti ripetuti è la traslocazione reciproca (scambio di materiale tra due cromosomi), con una frequenza del 4-6%, più di 50 volte superiore rispetto alla popolazione generale (1/1000). Si possono, altresì, individuare traslocazioni robertsoniane o fusioni centriche. La traslocazione più frequentemente riscontrata è la t (13q:14q), che è quattro volte più frequente rispetto alla popolazione generale. Più raramente si riscontrano fusioni peri- o paracentriche, peraltro difficili da evidenziare. Infine, sono stati descritti anomalie dei cromosomi sessuali , piccoli cromosomi sovrannumerari e microriarrangiamenti9 (Tabella 2).

 

Anomalie della cavità uterina

Tutti gli studi pubblicati riscontrano un aumento della frequenza di utero setto nella popolazione di donne con aborto ripetuto rispetto alla popolazione generale, nella quale la frequenza di tale anomalia è dello 0,1%. In uno studio isteroscopico di 106 donne, Raziel et al, hanno riscontrato nel 21,7% dei casi utero setto, mentre Hucke et al., in uno studio di 50 pazienti, hanno individuato nel 26% dei casi utero setto, nel 4% dei casi utero unicorne, nel 2% dei casi utero didelfo e nel 4% dei casi utero bicorne16-17 (Figura 1).

Le teorie fisiopatologiche alla base dell’aborto ripetuto in caso di utero setto non sono tutte concordi. Si ritiene, classicamente, che la povertà della vascolarizzazione del tessuto fibroso del setto sarebbe responsabile di un difetto di perfusione del trofoblasto. Contrariamente a questa teoria, l’osservazione di un aumento del numero di vasi nel setto, suggerisce piuttosto un difetto di interazione tra endometrio e trofoblasto.

Quale che sia il reale meccanismo patogenetico, la percentuale di aborti ripetuti è aumentato e varia dal 25 al 100% negli studi di pazienti con utero setto, a seconda dei criteri di reclutamento.

Sono disponibili diversi metodi per il riscontro di anomalie della cavità uterina: ecografia, isterosalpingografia, isterosonografia ed isteroscopia.

L’ecografia 2D transvaginale è l’esame più semplice, con una sensibilità prossima al 100% se eseguita da un operatore esperto. Tuttavia la diagnosi differenziale tra un utero setto ed un utero bicorne è piuttosto difficile. Per alcuni autori l’utilizzo dell’ecografia tridimensionale consente performances diagnostiche migliori. Altri preferiscono l’associazione sonoisterografia-ecografia tridimensionale, ma la isterosonografia è, a volte, mal tollerata dalle pazienti per l’iniezione intrauterina di mezzo di contrasto.

L’isteroscopia diagnostica associata alla laparoscopia rimangono gli esami di riferimento nello studio delle anomalie anatomiche della cavità uterina9.

La rimozione per via isteroscopica di eventuali setti endouterini o alternativamente interventi chirurgici di metroplastica rappresentano un valida terapia al fine di migliorare l’impianto della blastocisti e la successiva formazione della placenta.

 

Trombofilie

Nel corso della gravidanza fisiologica l’emostasi va incontro a importanti modificazioni, con significativo aumento delle concentrazioni plasmatiche di alcuni fattori che svolgono un ruolo importante nell’equilibrio del sistema emostatico, con riduzione dell’attività del sistema fibrinolitico e degli inibitori fisiologici della coagulazione. Queste modificazioni, che favoriscono l’emostasi nel delicato momento del parto e del distacco placentare, inducono uno stato protrombotico.

Con il termine trombofilie si definisce un gruppo di alterazioni ematologiche, congenite o acquisite, caratterizzato da ipercoagulabilità plasmatica che si manifesta clinicamente con episodi di trombosi venosa profonda e complicanze ostetriche, quali abortività ripetuta, preeclampsia, iposviluppo e morte intrauterina. Le più comuni trombofilie congenite sono l’eterozigosi per il fattore V Leiden (G1691A), la mutazione della protrombina II(G20210A) e l’iperomocisteinemia (MTHFR C677T e A1298C). Altre possibili anomalie che portano ad uno stato di ipercoagulabilità e che possono essere associate ad aborto ripetuto sono il deficit di antitrombina III, il deficit di proteina C ed S ed elevati livelli plasmatici di fattore VIII. Numerosi studi hanno dimostrato un significativo aumento di aborti ricorrenti (oltre che di complicanze tardive della gravidanza) in donne affette da trombofilie congenite. Da un punto di vista patogenetico è verosimile che la trombosi placentare sia l’evento scatenante l’aborto.La combinazione di diversi difetti trombofilici sembra aumentare il rischio di aborto ripetuto.

L’antitrombina III è un inibitore serin-proteasico prodotto dal fegato. È il più importante inibitore fisiologico del sistema della coagulazione ed inattiva la trombina, così come i fattori Xa, IXa e XIa. L’eparina agisce a questo livello, legandosi all’antitrombina ed accelerandone l’attività. Il deficit di antitrombina è ereditato con una modalità autosomica dominante. La normale attività plasmatica è compresa tra l’80 ed il 120% del valore normale. La maggior parte degli individui con deficit sono eterozigoti con livelli di antitrombina compresi tra il 40 ed il 60% del valore normale. La prevalenza dei portatori eterozigoti va da 1 su 2000 ad 1 su 5000. Il deficit di antitrombina si riscontra nell’1% dei pazienti con tromboembolismo venoso ed è la trombofilia congenita con il più alto rischio trombogenico, determinando un rischio di sviluppare trombosi nel corso della vita compreso tra il 20 ed il 50%. Tale deficit è inoltre associato ad un aumentato rischio di aborto(OR, 1.7; 95% CI, da 1.0 a 18.1)18.

La proteina C è un inibitore serin-proteasico, vitamina K-dipendente, sintetizzato dal fegato. La proteina C lega la trombomodulina, presente sulla superficie delle cellule endoteliali, viene attivata dal legame con la proteina S libera ed è convertita in una proteasi attiva dalla trombina. Essa inibisce la cascata della coagulazione mediante proteolisi dei fattori V ed VIII attivati. La proteina C attivata può inoltre stimolare la fibrinolisi ed accelerare la lisi del coagulo. Il deficit di proteina C porta alla formazione incontrollata di fibrina secondaria all’inappropriata inattivazione dei fattori Va ed VIIa. La prevalenza nella popolazione generale del deficit di proteina C è dello 0.15-0.8% e del 2.7-4.6% nella popolazione con storia di tromboembolismo venoso. Il valore normale di proteina C attivata è compreso tra il 60 ed il 180%. Il deficit è certo se si riscontra in modo ripetuto un valore inferiore al 55%. Il deficit di proteina C è stato associato ad un aumentato rischio di aborto nel secondo trimestre di gravidanza18.

La proteina S è un inibitore di serin-proteasi, vitamina K-dipendente, prodotto dagli epatociti, dalle cellule endoteliali, dai megacariociti, dal rene, dal cervello e dal testicolo. Essa è il principale cofattore della proteina C ma può anche legare direttamente ed inibire i fattori Va, VIIIa e Xa. Il deficit di proteina S mima lo stato di deficienza della proteina C con aumentata produzione di fibrina. Tale difetto è ereditato con modalità autosomica dominante e viene riscontrato nello 0.1-0.2% della popolazione generale. Questo deficit viene individuato come fattore scatenante nel 2-3% dei pazienti con tromboemboismo venoso. I livelli di proteina S si riducono fisiologicamente in gravidanza. La meta-analisi pubblicata nel 2003 da Rey et al. ha messo in evidenza una correlazione tra aborto ripetuto(<13 settimane) e deficit di proteina S con OR di 1.72 senza tuttavia ottenere una significatività statistica(95% CI, da 0,99 a 218,01)19.

Il fattore V Leiden è dato dalla sostituzione di un singolo nucleotide nel gene del fattore V in posizione 1691(G al posto di A) che causa una sostituzione aminoacidica (glutamina al posto di arginina)in posizione 506 della molecola del fattore V. L’ereditarietà della mutazione è di tipo autosomico dominante. La frequenza del fattore V Leiden nei Caucasici è di 3-8% e 1 su 1000 è omozigote, mentre è rara negli Africani e negli Amercani. La maggior parte dei pazienti con resistenza alla proteina C attivata hanno una mutazione eterozigote per il fattore V Leiden. Fisiologicamente, la proteina C attivata inattiva i fattori Va e VIIIa mediante il clivaggio di siti specifici. In presenza della mutazione del fattore V il clivaggio di questi fattori è inibito, portando ad un’aumentata produzione di trombina. La resistenza alla proteina C attivata acquisita si può riscontrare in gravidanza e con l’uso di contraccettivi orali. La mutazione in eterozigosi è associata con un rischio sette volte aumentato di avere una trombosi nel corso della vita, sebbene in omozigosi il rischio sia aumentato di 50-100 volte. Essendo questa mutazione molto comune, dal 20 al 50% dei pazienti con diagnosi di trombosi venosa presentano la mutazione di Leiden in eterozigosi. In campo ostetrico è di fondamentale importanza ricordare che tale mutazione in forma eterozigote e la resistenza alla proteina C attivata acquisita determinano un rischio due volte aumentato di avere un aborto18.

La mutazione della protrombina G20210A è una mutazione puntiforme (A al posto di G) in posizione 20210 del gene della protrombina. Questa mutazione è associata ad aumentate concentrazioni plasmatiche di protrombina, aumentata formazione di trombina e ad un incremento del rischio di trombosi venose ed arteriose. La mutazione è presente in eterozigosi nel 2-3% della popolazione generale nella razza caucasica. Il riscontro del polimorfismo G20210A in pazienti con trombosi venosa profonda è del 6-18%. Diversi studi internazionali hanno messo in evidenza la probabile associazione tra la mutazione della protrombina e l’aborto ripetuto20.

Recentemente l’iperomocisteinemia è emersa come fattore di rischio per la trombosi venosa ed arteriosa. Due frequenti polimorfismi sono stati identificati nel gene della metilen tetraidrofolato reduttasi(MTHFR). Il primo polimorfismo identificato è il C677T(MTHFR termolabile) che si riscontra nel 10-20% della popolazione caucasica. La frequenza di omozigosi per questa mutazione è circa del 10%. Nello stato di eterizigosi i livelli di omocisteina sono generalmente normali o lievemente aumentati mentre i pazienti con omozigosi possono avere dei livelli significativamente aumentati di omocisteina. Un secondo polimorfismo dell’MTHFR, identificato di recente è il polimorfismo A1298C; questa mutazione ha una frequenza del 33% nella popolazione tedesca. La mutazione eterozigote combinata di MTHFR C677T e MTHFR A1298C determina iperomocisteinemia e riduzione dei livelli plasmatici dei folati.

Come noto, l’omocisteina è un aminoacido sulfidrilico non essenziale, prodotto dal metabolismo della metionina. I livelli plasmatici di omocisteina aumentano in molte condizioni congenite ed acquisite e l’iperomocisteinemia è associata con lo sviluppo di trombosi venose ed arteriose. Durante la gravidanza i livelli di omocisteina si riducono, indipendentemente dall’entità dell’apporto alimentare. L’iperomocisteinemia in gravidanza è stata correlata a diverse condizioni patologiche, come difetti nella chiusura del tubo neurale, infarti placentari, IUGR e distacco di placenta. Ricordiamo che il deficit di folati è la più comune causa acquisita di iperomocisteinemia e, in donne con mutazione della MTHFR, l’iperomocisteinemia può rendersi manifesta in presenza di deficit di folati o può essere esacerbata dalla deficienza di vitamina B6 o B12. L’adeguata supplementazione di folati può, quindi, prevenire la menifestazione fenotipica della mutazione.

È stato dimostrato che la terapia con vitamina B6 riduce i livelli di omocisteina del 50% ed è efficace nel ridurre il numero di eventi vascolari. Il trattamento con vitamina B12 ed acido folico hanno indotto una risposta nei pazienti resistenti al trattamento con la sola vitamina B6.

 

La più comune trombofilia acquisita è la Sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Per fare diagnosi di APS è necessario riscontrare la positività di almeno uno dei criteri clinici in associazione alla positività di almeno uno dei criteri laboratoristici (Tabella 3). La positività agli anticorpi antifosfolipidi (aPL) in gravidanza è un fattore di rischio maggiore per l’insorgenza di eventi avversi. In un’ampia meta-analisi di studi di coppie con aborti ripetuti, l’incidenza di APS è tra il 15 ed il 20% rispetto al 5% in donne non gravide senza storia di complicanze ostetriche22. In particolare, gli aPL sono oggetto di un’intensa ricerca, in quanto il meccanismo di aborto aPL-mediato non è ancora ben noto. Sebbene gli aPL siano associati a trombosi, gli eventi trombotici non possono spiegare tutti gli aborti aPL-relati. C’è evidenza in vitro di un legame diretto degli aPL sul trofoblasto; questo legame provoca la riduzione della proliferazione cellulare, del rilascio di gonadotropina corionica umana, dell’invasività del trofoblasto e dell’espressione di molecole di adesione; induce altresì un aumento dell’apoptosi. Il danno degli aPL sul trofoblasto sarebbe mediato dalla beta2 glicoproteina I (ß2GPI) la quale agirebbe come cofattore nel legame degli anticorpi circolanti.. è stato dimostrato, infatti, che questa glicoproteina si lega alle cellule di trofoblasto e che da questo legame risulta una modificazione conformazionale della molecola. A sua volta questo cambio conformazionale indurrebbe l’esposizione di siti di legame specifici per gli aPL che, in tal modo, esplicano il loro effetto negativo a livello placentare. Un ulteriore effetto del legame degli anticorpi anti ß2GPI è dato dall’induzione di un fenotipo proinfiammatorio a livello della decidua umana, andando a favorire l’attivazione del complemento e la secrezione locale di citochine/chemochine pro-infiammatorie21. Più recentemente, l’espressione su neutrofili infiltranti di fattore tessutale indotto dal complemento è stata descritta come fattore patogenetico addizionale mediato da aPL22.

Nell’insieme queste scoperte suggeriscono che gli aPL possano indurre un processo di placentazione difettivo agendo a diversi livelli, senza essere associati necessariamente ad eventi trombotici.

Nel tentativo di migliorare l’outcome della gravidanza di donne poliabortive e con APS, è stato sperimentato l’utilizzo di prednisone al fine di sopprimere il sistema immunitario materno. Sebbene l’efficacia di questo trattamento nel prevenire l’aborto sia elevata ed assimilabile a quella dell’eparina a bassi dosaggi, le pazienti trattate con prednisone sono gravate da un maggior numero di complicanze, come la rottura prematura delle membrane e la preeclampsia, e per questo l’utilizzo del prednisone non rappresenta il trattamento di prima scelta.

Nella APS il trattamento d’elezione è rappresentato essenzialmente dall’utilizzo di aspirina a bassi dosaggi e di eparina. È stato dimostrato come l’aspirina riduca la produzione di trombossano a livello placentare nella APS fornendo il razionale per l’utilizzo di aspirina a basso dosaggio in queste gravidanze. Anche il trattamento con eparina della APS associata ad aborto ricorrente è stato associato ad un importante miglioramento dell’esito delle gravidanze, con un tasso di nati vivi del 70%. La combinazione di eparina ed aspirina a bassi dosaggi può ridurre la percentuale di aborto nelle donne affette da APS del 54%.

Ancora controversa è la scelta del momento più opportuno per iniziare la terapia con eparina ed aspirina, ma si può convenire che questo trattamento andrebbe iniziato nelle donne con APS e storia di aborti ricorrenti al momento del riscontro del primo test di gravidanza positivo (circa la sesta settimana di gestazione). Il trattamento con eparina di tali patologie viene eseguito a dosaggi bassi, generalmente non si superano mai le 100 UI per Kg, dunque non è frequente il riscontro delle reazioni avverse comunemente associate all’utilizzo di eparina ad alti dosaggi, quali sanguinamento, trombocitopenia ed osteoporosi con fratture. È bene, comunque, ricordare che la supplementazione con calcio e vitamina D e la perdita di peso in pazienti in trattamento con eparina riducono il rischio di osteoporosi.

Per quanto riguarda la scelta tra eparina a basso peso molecolare (LMWH) ed eparina non frazionata nel trattamento di abortività ripetuta e trombofilie ereditarie, si preferisce la LMWH per una serie di ragioni: consente la somministrazione mediante una singola iniezione al giorno, inoltre è gravata da una minore incidenza di trombocitopenia e da un ridotto rischio di osteoporosi10.

Screening trombofilie:

Nella pratica clinica la maggior parte delle donne gravide (circa il 95%) non manifesta patologie della gravidanza, anche se l’entità del rischio di sviluppare complicanze ostetriche in donne con trombofilia congenita ed acquisita è ignoto. L’incidenza relativamente bassa di tali eventi non giustifica l’uso di test di laboratorio come screening di massa. Un’attenta anamnesi sulla storia familiare e personale mirata agli eventi tromboembolici costituisce un valido criterio di selezione20.

Tutte le donne con una storia di tre o più aborti precoci, prima delle 10 settimane di gestazione, o con una o più morti di feti morfologicamente normali oltre le 10 settimane, o una o più morti premature a  34 settimane con preeclampsia severa o insufficienza placentare, dovrebbero essere testate per:

  • lupus anticoagulant (LAC)

  • anticorpi anticardiolipina (ACA)

per escludere una sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Se ACA e LAC hanno valori superiori alle 40 unità si procede col testare:

  • anticorpi anti ß2-glicoproteina I.

Nelle donne con una storia di aborto ricorrente vanno inoltre indagate eventuali positività a:

  • fattore V Leiden con resistenza alla proteina C attivata

  • mutazione del gene della protrombina G20210A

  • atività dell’antitrombina III, con valori normali compresi tra 80 e 120%

  • attività della proteina S con valori normali compresi tra 60 e 140%

  • attività della proteina C con valori normali compresi tra 60 e 180%

  • omocisteinemia con valori normali compresi tra 5 e 10,4 µmol/L. Se i livelli sono elevati può essere richiesto l’esame del DNA per la ricerca della mutazione dell’MTHFR.

 

Autoimmunità

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una patologia sistemica di origine autoimmune che comporta manifestazioni estremamente polimorfe, cutaneo-viscerali, che si manifestano a poussées, associate alla presenza di autoanticorpi diretti contro i costituenti del nucleo cellulare. Questa malattia colpisce frequentemente le giovani donne e, di conseguenza, non ne è raro il riscontro durante la gravidanza. Per via della molteplicità delle manifestazioni cliniche della malattia, l’Associazione americana di reumatologia ha stabilito dei criteri diagnostici, di conseguenza, la diagnosi di LES viene fatta mediante il riscontro in un paziente, simultaneamente o successivamente, di almeno quattro degli undici criteri. Nella pratica clinica la diagnosi di LES, in una donna con aborti ripetuti, si basa sulla ricerca all’anamnesi di manifestazioni cliniche e sul dosaggio di anticorpi anti-nucleo.

Le complicanze ostetriche sono più frequenti nelle donne con Lupus e sono dovute alla malattia materna, alla presenza di anticorpi e alla eventuale tossicità dei trattamenti proposti.

Per quanto riguarda gli aborti ripetuti, tutti gli studi mostrano che la percentuale è aumentata in caso di Lupus dal 20 al 30% delle gravidanze. I principali fattori di rischio per la polibortività sono la presenza di anticorpi anticardiolipina (si parla in questo caso di sindrome da aPL secondaria) e la storia di aborti precedenti. Ricordiamo che la prevalenza media nel LES della positività agli ACA è del 44% mentre quella del LAC è del 34%.

Come noto, i poussées infiammatori della malattia, aumentano il rischio di complicanze ostetriche. Infatti, quando il Lupus è clinicamente e biologicamente inattivo prima del concepimento, la percentuale di complicanze della gravidanza è trascurabile. È dunque raccomandabile, ai fini del buon esito della gravidanza, il controllo della malattia ed il concepimento in fase di remissione. Il monitoraggio del LES dal punto di vista laboratoristico va condotto mediante un’attenta osservazione clinica e con il controllo degli anticorpi anti-DNA e delle frazioni del complemento C3 e C4 23. Il trattamento con aspirina a basse dosi e/o con eparina deve essere considerato nelle pazienti con abortività ricorrente e positività agli anticorpi antifosfolipidi.

 

Endocrinopatie

Dati epidemiologici recenti hanno individuato nell’8-12% dei casi di abortività ripetuta un’associazione con endocrinopatie quali l’ipotiroidismo, il diabete mellito, l’inadeguata secrezione di progesterone da parte del corpo luteo, l’iperprolattinemia e la Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)24. In particolare, bassi livelli di ormoni tiroidei materni e glicemie materne scarsamente controllate sono associati a conseguenze a breve ed a lungo termine per lo sviluppo fetale e dovrebbero essere diagnosticate e trattate prima del concepimento. Gli ormoni tiroidei sono essenziali per la crescita ed il metabolismo del feto in accrescimento. Dal momento che la tiroide fetale raggiunge una completa funzionalità solo a partire da 12 settimane, fino a tale epoca è la tiroide materna la fonte esclusiva di ormoni tiroidei per il feto. È stato osservato che madri ipotiroidee hanno un rischio significativamente aumentato di abortività ricorrente durante il primo trimestre di gravidanza25. Per quanto riguarda il diabete mellito insulino-dipendente, esiste una correlazione diretta tra la percentuale di emoglobina glicata nel primo trimestre ed il tasso di abortività ricorrente. Il meccanismo fisiopatologico probabilmente alla base dell’aborto è quello delle malformazioni embrionali letali, dal momento che il tasso di malformazioni è, esso stesso, aumentato nel caso cattivo compenso del diabete nel periodo peri-concezionale. Evidenze attuali indicano che l’ipotiroidismo trattato ed il diabete ben compensato non sono associati ad abortività ripetuta. Ne consegue, dunque, la necessità di individuare precocemente tali endocrinopatie e di correggerle tempestivamente. Le valutazioni laboratoristiche della funzionalità tiroidea e dell’emoglobina glicata sono esami accurati e poco costosi e devono essere considerati come parte integrante dello screening da effettuare nello studio dell’abortività ripetuta.

Il riscontro di un’inadeguata produzione di progesterone in alcuni casi di abortività ricorrente ha fornito il razionale, da più di cinquant’anni, per la somministrazione per via orale, intramuscolare o vaginale, in particolare nel primo trimestre di gravidanza, di tale ormone. Non sono stati evidenziati effetti avversi sulla madre associati all’assunzione di progestinici durante il primo ed il secondo trimestre di gravidanza. Tuttavia è stato di recente riscontrato un aumentato rischio di ipospadia nel neonato maschio in seguito ad assunzione di progestinici nelle fasi precoci della gravidanza. È ancora aperta la discussione circa le dosi e la durata del trattamento progestinico, tuttavia le meta-analisi indicano una significativa riduzione di aborti in donne poliabortive trattate con progesterone rispetto a quelle trattate con placebo o non trattate.

Il trattamento con metformina nell’iperinsulinismo e nella PCOS determina una normalizzazione delle funzioni endocrina, metabolica e riproduttiva. In studi retrospettivi di donne con PCOS trattate con metformina in gravidanza, si è evidenziata una riduzione del tasso di aborto10.

 

Alloimmunità

Dalle conoscenze dell’immunologia tradizionale sappiamo che la sopravvivenza del feto semi-allogenico dipende dalla soppressione della risposta immunitaria materna. Tra i vari meccanismi locali attraverso i quali il trofoblasto riesce ad evitare l’attacco da parte del sistema immunitario materno, un posto di rilievo spetta alla particolare configurazione delle molecole HLA espresse sulla superficie, coinvolte nella presentazione antigenica al sistema immunitario materno. Il trofoblasto non esprime molecole MHC di classe Ia(HLA-A, HLA-B) con l’eccezione delle molecole HLA-C che sono state rinvenute sul citotrofoblasto non-villoso, dove invece sono presenti molecole MHC non classiche di classe Ib, HLA-G e HLA-E. Ancora oggi le esatte funzioni delle molecole HLA-G sono note solo in parte, sebbene molte ipotesi siano state formulate. La più recente ed accreditata sostiene che l’HLA-G giochi un ruolo nella resistenza del trofoblasto non-villoso nella lisi mediata dalle cellule NK uterine (uNK), presenti in grande numero a questo livello, inibendone l’attività citolitica e la migrazioni attraverso la placenta. Per quanto riguarda le molecole HLA-E è stato ipotizzato che possano svolgere un ruolo ancora più rilevante dell’HLA-G nell’inibizione delle cellule uNK a livello dell’interfaccia materno-fetale.

Una eccessiva risposta immunitaria materna contro gli antigeni paterni porta ad una produzione abnorme di cellule immunitarie e di citochine; si ritiene che questa condizione sia associata all’abortività ripetuta. In particolare, attualmente, l’attenzione è focalizzata sul rapporto tra abortività ripetuta e cellule Natural Killer (NK). Sebbene molte delle evidenze siano contraddittorie, studi recenti suggeriscono differenze dei livelli delle cellule NK nel sangue periferico di donne con aborti ripetuti rispetto ai controlli. Cellule NK sono state inoltre trovate nell’endometrio e nella decidua, ma non è ancora noto il loro ruolo nel processo di placentazione6. Secondo alcuni autori, le cellule NK nella mucosa uterina contribuiscono alla risposta citochinica all’interfaccia materno-fetale. Questa risposta è generalmente caratterizzata sia da linfociti T-helper-1 (Th-1), con produzione di IL-2, interferone, TNF-, sia da linfociti T-helper-2 (Th-2), con IL 4,6 e 10. La gravidanza fisiologica potrebbe essere il risultato di una risposta citochinica di tipo Th-2, nella quale il blocco degli anticorpi maschererebbe gli antigeni del trofoblasto fetale dal riconoscimento immunologico da parte delle cellule citotossiche materne Th-1-mediate. Al contrario, donne con aborto ricorrente tendono a produrre una risposta di tipo prevalentemente Th-1, sia nel periodo dell’impianto che durante la gravidanza. Queste evidenze supportano la teoria che alterazioni della tolleranza immunologica nei confronti del feto potrebbero contribuire all’aborto ricorrente4.

Ci sono differenze fenotipiche e funzionali tra le cellule NK periferiche e quelle uterine, e i tests utilizzati per le cellule NK del sangue periferico non forniscono informazioni utili su quelle uterine. Inoltre, la percentuale di cellule NK CD56+ nel sangue periferico di individui normali varia dal 5 al 29% ed è influenzata da sesso, stress, etnia ed età. Ne consegue che la misurazione di cellule NK nel sangue periferico non dovrebbe essere eseguito routinariamente nello studio dell’aborto in generale e degli aborti ricorrenti in particolare, al di fuori di protocolli di ricerca. Dati recenti dimostrano che si riscontra un elevato numero di cellule NK nell’endometrio di donne con abortività ripetuta, numero che potrebbe essere ridotto con una terapia.

 

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Tabella 1: Percentuale di aborti in relazione all’età materna al momento del concepimento.

 

Età

(anni)

 

Numero totale

di gravidanze

Percentuale

di aborto

25-29

350395

9%

30-34

414149

11%

35-39

235049

15%

40-44

93940

25%

>45

25132

51%

>45

1865

75%

 

 

Tabella 2. Cariotipi di coppie con almeno due aborti ripetuti (AR).

 

Gruppi Cariotipo Traslocazione Traslocazione Inversione

normale Reciproca Robertsoniana

Fryns et al.14 (%) (%) (%)

1986 effettivi=1555 94,0 3,6 1,8 0,6

1998 effettivi=1743 95,4 3,5 0,5 0,6

 

Portnoi et al. 199815

2 AR effettivi=771 96,0

2 AR e nati vivi 93,4

Totali effettivi=1142 95,2 2,5 0,8 1,2

 

Modificato da V.Lejeune. Gynécologie Obstétrique & Fertilité 34(2006)9

 

 

Tabella 3. Dichiarazione di Consenso Internazionale sui Criteri classificativi della Sindrome da Antifosfolipidi

Criteri clinici

1.      Trombosi vascolari: uno o più episodi di trombosi arteriose, venose o dei piccoli vasi, in qualsiasi organo o tessuto, confermate da tecniche di imaging, doppler o dall’istopatologia.

2.      Patologia ostetrica:

a)     Una o più morti fetali oltre la 10^ settimana;

b)     Uno o più parti prima della 34^ settimana, accompagnati da preeclampsia o severa insufficienza placentare;

c)      Tre o più aborti prima della 10^ settimana.

 

 

Criteri laboratoristici

1.     Anticorpi anticardiolipina (aCL) ß2 dipendenti di classe IgG e/o IgM a titolo medio-alto, misurati con metodica ELISA standardizzata in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di intervallo.

2.      Lupus Anticoagulant (LA) risultato positivo in due rilevazioni a 12 o più settimane di intervallo, rilevato secondo il metodo raccomandato dal Sottocomitato del Lupus Anticoagulant/phospholipid Dependent Antibodies, consistente nei seguenti passaggi:

a)     Prolungamento di un test di coagulazione dipendente dai fosfolipidi (KCT, aPTT, DRVVT, ecc.);

b)     Mancata correzione con mixing di plasma normale;

c)      Correzione ottenuta con aggiunta di fosfolipidi;

d)     Esclusione di altre coagulopatie.

 

3. Anticorpi anti-ß2 glicoproteina I di classe IgG e/o IgM, misurati con metodica ELISA standardizzata in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di intervallo.

Modificato da Swadźba J et al. J Thromb Haemost. 2007

 

 

Figura 1. Principali anomalie anatomiche uterine causa di aborto ricorrente.

Modificato da The American Fertility Society, 1988.

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Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico A. Gemelli, Largo A. Gemelli 8, 00168 Roma.