Impatto della chirurgia dell’endometriosi ovarica sulla riserva follicolare

Maurizio Guido, Daniela Romualdi, Luigi Selvaggi, Simona De Cicco,
Valeria Tagliaferri, Alessandro Bompiani, Antonio Lanzone.


Per endometriosi si intende la presenza di tessuto endometriale, nelle sue componenti ghiandolare e stromale, in sedi differenti dalla cavità uterina. È una patologia che interessa circa il 10% della popolazione femminile in età fertile e rientra tra le principali cause di infertilità. Le sedi maggiormente interessate da questa malattia sono rappresentate dai legamenti utero-sacrali, ovaie, tube e peritoneo pelvico ma il tessuto endometriale può impiantarsi anche in sedi extrapelviche tra cui il pericardio, la pleura e talora l’encefalo.

L’ovaio è tra gli organi maggiormente colpiti e presenta una lesione del tutto peculiare, detta endometrioma o “cisti cioccolato” (Figura 1). L’endometrioma è in realtà una “psedocisti”, che deriva dall’invaginazione su base fibrotica di focolai endometriosici presenti sulla superficie ovarica; il conseguente accumulo di materiale ematico è responsabile della caratteristica trasformazione cistica (Giudice et al, 2004).




Figura 1: cisti endometriosica



Il trattamento dell’endometrioma dovrebbe essere il più possibile personalizzato e la scelta tra approccio chirurgico e/o medico dovrebbe considerare una serie di fattori, tra cui età della donna, desiderio di prole, presenza di infertilità, dimensioni della cisti e l’impatto della malattia sulla qualità di vita delle pazienti. Non ci sono studi in letteratura che abbiano comparato direttamente la terapia medica e quella chirurgica per cui mancano evidenze sulla superiorità dell’uno o dell’altro trattamento. Secondo le attuali linee guida, le indicazioni alla terapia chirurgica dell’endometriosi ovarica sono rappresentate dalla presenza di sintomatologia dolorosa importante, infertilità e cisti di diametro > 4 cm anche in assenza di sintomatologia rilevante (Vercellini et al, 1997; Busacca et al, 2009).

L'approccio chirurgico meno invasivo e meno costoso è come sempre da preferire. La laparoscopia risulta quindi la metodica di scelta, poiché diminuisce i costi, la morbidità e l'incidenza di aderenze postoperatorie rispetto alla laparotomia, tuttavia la sicurezza di questo intervento in termini di danno alla riserva ovarica, in termini di alterazione del patrimonio follicolare residuo, è al momento oggetto di discussione.

I potenziali effetti negativi sulla riserva ovarica associati al trattamento chirurgico sono stati accuratamente investigati negli ultimi anni e molti studi hanno valutato l’outcome chirurgico in termini di tassi di gravidanza e di risposta ovarica alla stimolazione con gonadotropine (Somigliana et al, 2006; Tsoumpou et al, 2009; Canis et al, 2001; Benaglia et al, 2009). Alcuni autori, confrontando pazienti con endometrioma operate e non, non hanno riscontrato differenze significative nella risposta ovarica alla stimolazione con gonadotropine (Nargund et al, 1995; Loh et al, 1999). Il bias di questi studi consiste nel fatto che l’endometriosi ovarica è nella gran parte dei casi unilaterale (72-81%) (Vercellini et al, 1998; Al-fozan et al, 2003) ed in queste donne l’ovaio controlaterale sano è in grado nella maggior parte dei casi di compensare adeguatamente la ridotta funzione della gonade affetta (Lass et al, 1999). Nelle tecniche di fecondazione in vitro, invece, è possibile valutare la riserva funzionale di una singola gonade, utilizzando come controllo l’ovaio sano controlaterale della stessa paziente (Ragni et al, 2005; Somigliana et al, 2003). Negli ultimi anni numerosi studi hanno evidenziato come la risposta ovarica a protocolli di COH (controlled ovarian hyperstimulation) nella gonade sottoposta ad escissione laparoscopica dell’endometrioma sia notevolmente ridotta, sia in termini di diminuzione dei follicoli dominanti ottenuti, che nel recupero ovocitario (Figura 2) (Ragni et al, 2005; Somigliana et al, 2003; Ho et al, 2002). Questo dato assume un’importanza cruciale in donne che devono sottoporsi ad intervento chirurgico per endometriosi bilaterale; in queste pazienti, infatti, l’asportazione delle cisti endometriosiche potrebbe comportare un rischio elevato di insufficienza ovarica post-chirurgica (Busacca et al, 2006).

Figura 2: numero di follicoli dominanti, ovociti, embrioni ed embrioni di alta qualità nell’ovaio operato e nel controlaterale intatto. Le gonadi sane sono rappresentate in bianco e le ovaie affette sono rappresentate in nero. Tutte e quattro le variabili sono risultate significativamente differenti. * p=0.005; ** p<0.001.

Ragni et al AJOG 2005

L’entità del danno ovarico associato alla chirurgia sembra essere influenzata da una numerosa serie di fattori. La dimensione dell’endometrioma escisso è uno dei principali parametri analizzati. In molti studi è stato osservato come la riduzione del numero dei follicoli dominanti sia pronunciata in cisti di grandi dimensioni, ma è interessante notare come il danno alla riserva ovarica sia presente anche in caso di escissione di cisti di diametro < 3 cm (Somigliana et al, 2006).

Una seconda variabile da tenere in considerazione è il tipo di approccio chirurgico. Come già sottolineato, attualmente la chirurgia laparoscopica è considerata il “gold standard” per il trattamento dell’endometrioma (Chapron et al, 1998; Muzii et al, 2007; Muzii et al, 2002), tuttavia da un punto di vista di tecnica chirurgica c’è un grande dibattito in letteratura su quale sia la metodica più appropriata per preservare l’outcome riproduttivo della donna e garantirle un basso indice di recidiva (Hart et al, 2005; Muzii et al, 2002; Donnez et al, 1996).

La tecnica di ablazione della cisti endometrosica mediante drenaggio del contenuto cistico e successiva coagulazione della parete, sia mediante vaporizzazione laser sia mediante coagulazione bipolare, è stata da anni abbandonata (Vercellini et al, 1992); infatti questa procedura è associata ad un’importante reazione infiammatoria, oltre che ad una compromissione vascolare locale del parenchima ovarico adiacente, con una notevole ripercussione a carico del pool follicolare della gonade (Velasco et al, 2009; Somigliana et al, 2003; Hart et al, 2005). Inoltre, questa tecnica è stata correlata ad un’incompleta asportazione del tessuto endometriosico con un aumentato tasso di recidiva per la donna rispetto all’escissione della parete cistica (Muzii et al, 2007; Hart et al, 2005; Beretta et al, 1998).

L’escissione mediante “stripping” della parete della cisti endometriosica è stata spesso messa in discussione nel corso degli anni in quanto associata a rimozione di tessuto ovarico sano adiacente la parete dell’endometrioma, con potenziale riduzione della riserva follicolare (Donnez et al, 1996). Muzii et al hanno, infatti, dimostrato come una piccola rima di tessuto ovarico contenente follicoli primordiali è rimossa in più del 50% degli endometriomi (Muzii et al, 2007; Muzii et al, 2002). D’altro canto, la tecnica dell’escissione della cisti con la procedura di “stripping” rappresenta senza dubbio il trattamento più completo dell’endometrioma e nei campioni istologici esaminati non è stato ritrovato tessuto endometriosico residuo (Muzii et al, 2007; Muzii et al, 2002). Infatti, sembrerebbe che il piano di clivaggio creato durante la procedura dello “stripping” segua l’interfaccia tra la capsula fibrotica e il normale tessuto ovarico, favorendo la completa rimozione dell’endometriosi (Muzii et al, 2007). Inoltre la procedura dello stripping non sembra rappresentare un “overtreatment”, poiché il tessuto che viene escisso con l’endometrioma è per lo più tessuto fibrotico e la quota di tessuto ovarico presente nella parete della cisti rimossa non sembra avere le caratteristiche istologiche e, soprattutto, funzionali di un ovaio normale (Muzii et al, 2007).

Un ulteriore fattore che taluni hanno analizzato è lo spessore della parete dell’endometrioma asportato e la sua possibile correlazione con l’alterazione del pool follicolare residuo, ma i dati sono molto limitati e piuttosto discordanti (Muzii et al 2007; Donnez et al, 1996). Alcuni autori hanno dimostrato come la porzione di parenchima ovarico escisso assieme alla parete cistica sia localizzato nella maggior parte dei casi a livello della porzione più spessa della cisti (Muzii et al, 2007). Inoltre, la quantità di tessuto ovarico inavvertitamente asportato con l’endometrioma è maggiore quando la cisti è localizzata nell’ilo ovarico: in circa il 70 % dei campioni dell’ilo sono stati ritrovati follicoli ad uno stadio di sviluppo funzionale più avanzato (Muzii et al, 2005). A tale livello, nondimeno, un’eccessiva trazione sulla parete dell’endometrioma potrebbe determinare la lacerazione dei vasi ilari con un aumentato danno determinato dalla successiva coagulazione del parenchima ovarico (Muzii et al, 2005; Muzii et al, 2007).

In quest’ampio spettro di discussione non si può dimenticare che, ad oggi, non esistono dati chiari in letteratura riguardanti l’eventuale preesistenza alla procedura chirurgica di una riduzione della riserva ovarica in presenza di endometrioma. Infatti, sulla base delle attuali conoscenze, non può essere escluso che la cisti per se determini un danno del parenchima ovarico che la circonda, ad esempio attraverso la produzione di sostanze tossiche che possono compromettere la qualità degli ovociti (Yanushpolsky et al, 1998). È stato dimostrato che il tessuto adiacente l’endometrioma sia interessato da significative alterazioni morfologiche all’esame istologico, che possono essere espressione di un’alterazione funzionale. In particolare, diversi autori hanno osservato un ridotto numero di follicoli in sezioni di corticale ovarica adiacenti alla cisti endometriosica (Maneschi et al, 1993; Muzii et al, 2002). Di notevole interesse è l’assenza di riscontro di queste alterazioni istologiche nel parenchima ovarico adiacente a cisti ovariche di altra natura, come teratomi maturi e cistoadenomi (Muzii et al, 2002; Maneschi et al, 1993; Maneschi et al, 1993). Inoltre, Somigliana et al in un recente lavoro hanno dimostrato come la presenza nella gonade di endometriomi, anche se di piccole dimensioni (21±7 mm), determina una ridotta risposta alle gonadotropine (circa il 25% in meno di follicoli codominanti) (Somigliana et al, 2006).

In conclusione, l’endometriosi ovarica è una patologia che colpisce soprattutto donne in età riproduttiva con il desiderio di preservare la propria fertilità e di ottenere una gravidanza dopo il trattamento chirurgico; quindi, l'obiettivo della chirurgia è duplice poiché mirato sia all’asportazione in toto della cisti endometriosica sia a preservare il più possibile il pool follicolare della gonade affetta.

Sebbene in letteratura ci sia un generale consenso nel raccomandare l’escissione laparoscopica della parete dell’endometrioma (Hart et al, 2005) persistono, ancora oggi, numerosi dubbi. In particolare, persiste la necessità di studiare in maniera più approfondita il danno causato sia dell’endometrioma per se sia dalla chirurgia laparoscopica, al fine di determinare il managment più adeguato per l’endometriosi ovarica garantendo alla paziente il miglior approccio, il più possibile personalizzato, in termini sia di radicalità chirurgica sia di outcome riproduttivo futuro.

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