Introduzione
Con l’introduzione in Italia della Legge 19 febbraio 2004, n.
40, si è reso necessario modificare il nostro lavoro sia da
un punto di vista clinico che di laboratorio. Infatti, tra le varie
“imposizioni” introdotte dalla legge, la cui discussione
esula dall’argomento qui trattato, c’è il divieto
di crioconservare embrioni e di “creare un numero di embrioni
superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo
impianto, comunque non superiore a tre”. Poiché non esiste
chiarezza nella definizione di embrione (appena lo spermatozoo entra
o viene inserito nell’ovocita?, al momento della fusione dei
due pronuclei maschile e femminile - singamia?, al momento della divisione
cellulare? ecc.) è bene, onde evitare confusioni, inseminare
solamente tre ovociti. Questo fa sì che nell’ “era”
pre-legge la selezione dei 2 o 3 embrioni da trasferire veniva effettuata
in base a criteri morfologici legati alle caratteristiche dei pronuclei,
alla presenza o meno di multinucleazioni nei blastomeri, alla percentuale
di frammentazioni anucleate e alla velocità di crescita dell’embrione
che permettevano di produrre uno “score embrionario” correlato
alle sue possibilità d’impianto, o in base a criteri
genetici mediante l’analisi con tecnica di ibridazione in situ
a fluorescenza (FISH) di 5-9 coppie di cromosomi di uno o due blastomeri
per valutare la presenza di aneuploidie. Da dopo il 10 marzo 2004
invece questo non è più possibile e di conseguenza ci
dobbiamo oggi basare su solo su parametri clinici e morfologici di
selezione ovocitaria, la cui efficacia è ancora tutta da dimostrare.
Stimolazione
ovarica e qualità ovocitaria
Sebbene la prima gravidanza al mondo “in provetta” sia
stata ottenuta mediante la fecondazione di un solo ovocita ottenuto
su ciclo spontaneo, il successivo impiego di farmaci per l’induzione
della crescita follicolare multipla ha permesso di migliorare significativamente
i risultati clinici (Hughes et al., 1992). Questo ha fatto si che
la stimolazione farmacologica ovarica venga oggi utilizzata nella
pressoché totalità dei centri di medicina di riproduzione
nel mondo. Si è discusso molto, ed ancora non ci sono risultati
univoci, sull’effetto dei vari tipi di gonadotropine utilizzate
per quanto riguarda il reclutamento follicolare, la qualità
ovocitaria, la competenza embrionaria e quindi i tassi di gravidanza.
A partire dalla metà degli anni novanta, subito dopo l’introduzione
delle gonadotropine ricombinanti, sono stati condotti numerosi studi
che confrontavano l’efficacia dell’FSH ricombinante con
l’FSH urinario o con la combinazione FSH-LH urinario (HMG).
La maggior parte di questi lavori ha confrontato risultati clinici
da cui è emerso che i preparati ricombinanti erano sicuri,
inducevano un più efficace reclutamento e sviluppo follicolare
e offrivano sovrapponibili tassi di gravidanza ed impianto rispetto
ai preparati urinari. (Recombinant FSH Study Group, 1995; Out et al.,
1995; Bergh et al., 1997; Hoomans, 1999; Frydman, 2000; Ravhon, 2001).
Questa maggiore efficacia delle gonadotropine ricombinanti rispetto
a quelle estrattive sarebbe dovuta a una maggiore bioattività
dell’FSH ricombinante (minore quantità di farmaco utilizzato
e maggiore numero di follicoli reclutati) (Out et al., 1995; Bergh
et al., 1997), alla presenza di maggiore quantità di isoforme
basiche e alla assenza di contaminazione con proteine urinarie (Out
et al., 1996). Tuttavia tali risultati non sono stati confermati da
altri autori che, al contrario, hanno riportato un ridotto numero
di ovociti recuperati quando utilizzavano le gonadotropine ricombinanti,
sebbene con simili tassi di gravidanze cliniche (Lan et al., 2002;
Huang et al., 2004). Questi dati conflittuali sono verosimilmente
dovuti all’incidenza di altri fattori quali la variabilità
etnica delle pazienti arruolate in studi multicentrici che potrebbe
determinare una diversa distribuzione delle varianti alleliche dei
recettori per l’FSH o al numero ridotto in alcuni studi delle
pazienti prese in esame o, infine, alle possibili minime differenze
delle caratteristiche delle pazienti arruolate (Huang et al., 2004).
Inoltre, per quanto riguarda gli effetti delle differenti preparazioni
farmacologiche sulla qualità ovocitaria, questi risultano essere
di difficile interpretazione poiché altri fattori confondenti
come l’età ovocitaria, il fumo di sigaretta, il polimorfismo
dei recettori FSH, il tipo di protocollo ed il dosaggio di gonadotropine
utilizzato, il timing della induzione della maturazione ovocitaria
finale e l’intervallo di tempo tra quest’ultimo e il prelievo
ovocitario possono contribuire a determinare una variabilità
ovocitaria intrinseca (Sherins et al., 1995; Greenblatt et al., 1995;
Zenzes et al., 1997). Questi fattori sono verosimilmente alla base
della non univocità di risultati riportati in letteratura.
Infatti se alcuni autori hanno riportato una migliore maturità
nucleare e un più basso tasso di ovociti con citoplasma morfologicamente
anomalo in pazienti trattate con FSH urinario altamente purificato
(Imthurn et al., 1996; Mercan et al., 1997), altri non hanno osservato
differenze per quanto riguarda la maturità nucleare o le caratteristiche
citoplasmatiche di ovociti prelevati in donne trattate con FSH urinario
o con HMG (Jacob et al., 1998; Weissman et al., 1999). L’utilizzo
di preparati ricombinanti potrebbe determinare un migliore grado di
maturazione citoplasmatica che altresì potrebbe essere influenzata
negativamente dalla grande quantità di proteine urinarie, come
citochine, fattori di crescita, transferrine e altre proteine presenti
nei preparati urinari (Huang et al., 2004). Tale migliore maturazione
citoplasmatica potrebbe essere responsabile del miglior tasso di fecondazione
e qualità embrionaria osservata nelle pazienti trattate con
FSH ricombinante rispetto all’FSH urinario (Huang et al., 2004).
Tuttavia, in un precedente studio, che confrontava in maniera prospettica
randomizzata le gonadotropine ricombinanti con l’HMG urinario,
non sono state osservate differenze per quanto riguarda la maturità
nucleare e citoplasmatica degli ovociti, le caratteristiche morfologiche
della zona pellucida e del primo corpo polare (Ng et al., 2001). Questa
difformità di risultati sull’effetto di differenti gonadotropine
sulla qualita’ ovocitaria riportati in letteratura, oltre ai
motivi già discussi in precedenza, potrebbero essere dovuti
probabilmente anche e soprattutto al fatto che non sono completamente
definiti i fattori coinvolti nella qualità ovocitaria stessa
dopo stimolazione ovarica. L’ambiente endocrino e soprattutto
i livelli di E2 raggiunti al termine della induzione della crescita
follicolare multipla, per esempio, possono influenzare negativamente
la qualità ovocitaria (Plachot and Crozet, 1992; Fluker et
al., 1993; Xia, 1997; Valbuena, 2001). Inoltre, la stimolazione ovarica
farmacologica determina la maturazione di ovociti che altrimenti sarebbero
andati incontro ad atresia. Le caratteristiche della qualità
di tali ovociti che fisiologicamente sarebbero stati “scartati”
potrebbero essere legate ad una maggiore o minore incidenza di anomalie
cromosomiche variabile da paziente a paziente (Wramsby, 1988; Van
Blerkom and Henry, 1992). Infine, è verosimile che nel pool
di follicoli che arrivano al prelievo ovocitario alcuni abbiano una
insufficiente vascolarizzazione, inducendo soprattutto una asincronia
tra maturità nucleare e citoplasmatica dell’ovocita corrispondente
(Van Blerkom et al., 1997). Ed è proprio quest’ultimo
aspetto che merita un ulteriore approfondimento in quanto, come vedremo,
l’entità della vascolarizzazione follicolare può
rappresentare un importante parametro clinico di selezione follicolo-ovocitaria
(Van Blerkom et al., 1997).
Una corretta ossigenazione rappresenterebbe infatti un fattore fondamentale
per una adeguata formazione del fuso meiotico, con conseguente aggregazione
cromosomica e maturità citoplasmatica (Van Blerkom et al.,
1997; Gaulden, 1992). Infatti alcuni autori hanno riportato una associazione
tra riduzione della flusso ematico follicolare e alterazioni del fuso
meiotico e anomalie cromosomiche (Van Blerkom et al., 1997).
E’ stato inoltre osservato che gli ovociti provenienti da follicoli
con un contenuto di ossigeno disciolto >3% offrirebbero migliori
tassi di fecondazione e di sviluppo embrionario (Van Blerkom et al.,
1997; Van Blerkom, 1997). Similmente, Coulam e collaboratori (1999)
hanno riportato un incremento dei tassi di gravidanza quando venivano
trasferiti embrioni derivanti da follicoli che presentavano una velocità
massima di picco >10 cm/sec. Viceversa, ovociti con difetti citoplasmatici
e/o con cromosomi disorganizzati, ed embrioni con blastomeri multinucleati
deriverebbero prevalentemente da follicoli ipossici con ridotta vascolarizzazione
e più basse concentrazioni del fattore di crescita vascolare
endoteliale (VEGF) (Van Blerkom et al., 1997; Van Blerkom, 1998).
La possibilità di identificare i follicoli maggiormente vascolarizzati
da cui recuperare ovociti, che a loro volta darebbero luogo ad embrioni
potenzialmente più competenti, permetterebbe di ridurre il
numero di embrioni da trasferire a due o uno, riducendo al massimo
il rischio di gravidanze multiple senza diminuire i tassi di gravidanza.
Tuttavia, nonostante questi dati siano molto incoraggianti, Huey e
collaboratori (1999) hanno osservato un moderato potere predittivo
della vascolarizzazione follicolare valutata all’esame doppler
mediante analisi ROC che ne limiterebbe la sua applicabilità
giornaliera. Infatti non risulta molto agevole, da un punto di vista
tecnico, valutare durante il prelievo ovocitario la migliore vascolarizzazione
follicolare ed eseguire l’aspirazione ed il lavaggio di quel
determinato follicolo fino al recupero dell’ovocita. Questo,
infatti, comporta un notevole aumento dei tempi di esecuzione dell’intervento
e, quando il prelievo ovocitario viene eseguito in anestesia locale,
aumenta di conseguenza anche il disagio per la paziente. Per tali
motivi, altri studi prospettici sono necessari per testare la reale
validità della determinazione della vascolarizzazione follicolare
mediante eco Doppler.
Valutazione
morfologica della qualità ovocitaria
Classicamente la valutazione della qualità ovocitaria nella
fecondazione in-vitro standard si basa sul grado di espansione delle
cellule del cumulo ooforo e della corona radiata che circondano l’ovocita
(Veeck, 1990). Quando un complesso cumulo-corona-ovocita presenta
le cellule del cumulo espanse con la corona radiata a raggi di sole,
viene considerato come preovulatorio. Viceversa, un complesso cumulo-corona
meno espanso indicherebbe un ovocita di maturità intermedia.
Infine, l’assenza di un cumulo espanso sarebbe segno di immaturità
ovocitaria (Veeck, 1990). Con la introduzione della microiniezione
intracitoplasmatica (ICSI) quale trattamento di scelta nei casi di
infertilità da fattore maschile severo (Palermo et al., 1992;
Van Steirteghem et al., 1993) si è resa indispensabile la rimozione
delle cellule del cumulo ooforo e della corona radiata, permettendo
così di osservare sia la maturità nucleare che l’aspetto
del citoplasma dell’ovocita. Ciò ha messo in evidenza
come non sempre esista una correlazione tra le caratteristiche del
complesso corona-cumulo e quelle nucleo-citoplasmatiche. Pertanto
una vera selezione in base alle caratteristiche morfologiche può
essere effettuata solo su ovociti destinati alla ICSI.
Un primo livello di selezione si basa sulla maturità nucleare
ovocitaria. Alla nascita gli ovociti sono bloccati allo stadio di
diplotene della prima profase e sono caratterizzati dalla presenza
di una struttura nucleare chiamata vescicola germinale (VG). In questo
stato rimangono fino al momento della maturità sessuale. Dopo
il menarca, al momento di ciascuna ovulazione, il picco di LH in presenza
di un ridotto flusso di sostanze arrestanti la meiosi dalle cellule
della granulosa attraverso le gap-junctions all’interno dell’ovocita,
induce la ripresa della I divisione meiotica che porta alla scomparsa
della VG, all’allineamento dei cromosomi lungo il fuso meiotico
e alla segregazione delle paia dei cromosomi omologhi tra l’ovocita
e il primo corpo polare (Eppig, 1990). L’estrusione del primo
corpo polare, che rappresenta il completamento della prima divisione
meiotica, è immediatamente seguito dalla formazione del secondo
fuso meiotico con il rimanente set di cromosomi omologhi allineati
sul suo piano equatoriale. A questo punto l’ovocita, bloccato
allo stadio di metafase della seconda divisione (MII) (Fig. 1a) deve
avere completato in maniera sincrona la sua maturità nucleare
e citoplasmatica per assicurare condizioni ottimali alla successiva
fecondazione (Lindner et al., 1974). Disturbi o mancata sincronia
di questi processi possono determinare diverse alterazioni morfologiche
(Eichenlaub-Ritter et al., 1995; Loutradis et al., 1999; Ebner et
al., 2000; Kahraman et al., 2000).
Al momento del prelievo ovocitario la maggior parte degli ovociti
si trova allo stadio di MII mentre una percentuale variabile dal 10
al 20% non hanno ripreso la loro divisione meiotica e si possono trovare
o allo stadio di VG caratterizzati dalla tipica struttura nucleare
(Fig. 1b) o allo stadio di MI, ossia una condizione in cui la vescicola
germinale è scomparsa ma non è stato ancora estruso
il primo corpo polare (Fig. 1c) (Hassan-Ali et al., 1998; De Vos et
al., 1999). Una percentuale compresa tra il 30 e il 70% degli ovociti
MI matura in-vitro e raggiunge in alcune ore lo stadio di MII. Questi
ovociti maturati in-vitro hanno ridotte percentuali di fecondazione
ma simile qualità embrionaria rispetto agli ovociti MII. Tuttavia,
utilizzando embrioni provenienti da tali ovociti maturati in-vitro
sono riportate solo sporadiche gravidanze (Coetzee et al., 1996; Ubaldi
et al., 1997). In alcune situazioni, come per esempio in assenza di
ovociti MII o quando se ne hanno a disposizione meno di tre, è
possibile iniettare direttamente gli ovociti MI ottenedo però
basse percentuali di fecondazione (De Vos et al., 1999). Al contrario,
non è possibile inseminare direttamente gli ovociti VG poiché
hanno ancora un set diploide di cromosomi. Tuttavia è possibile,
dopo un periodo di coltura in-vitro di circa 30 ore, che lo stadio
di MII venga raggiunto, ma è stata riportata solo una gravidanza
dopo il transfer di embrioni provenienti da tali ovociti maturati
in-vitro (Nagy et al., 1996). Per tale motivo gli ovociti che al momento
del prelievo ovocitario si trovano allo stadio di VG normalmente vengono
eliminati.
Oltre alla valutazione dello stato meiotico, è importante andare
a valutare l’aspetto morfologico del citoplasma ovocitario.
Un ovocita MII di buona morfologia dovrebbe avere un citoplasma chiaro,
moderatamente granulare, un piccolo spazio perivitellino, un primo
corpo polare intatto e una zona pellucida non troppo spessa e priva
di colore (Fig 1a) (De Sutter et al., 1996; Xia et al., 1997; Ebner
et al., 2000). Tuttavia, circa la metà degli ovociti recuperati
presentano almeno una anomalia morfologica (Fig. 2a,b,c,d). Tali anomalie
possono essere distinte in citoplasmatiche ed extracitoplasmatiche.
Per quanto riguarda le anomalie citoplasmatiche, queste possono essere
rappresentate da citoplasma scuro, da eccessiva granularità
diffusamente omogenea o aggregata nel centro, inclusioni come vacuoli
o “refractile bodies”. In alcuni casi tali caratteristiche
citoplasmatiche, isolate o associate tra loro, possono essere espressione
di difetti ovocitari intrinseci che possono influenzare negativamente
la competenza ovocitaria (Van Blerkom e Henry, 1992). Tuttavia non
esiste una univocità di vedute sul significato prognostico
di una o più di queste anomalie morfologiche rispetto all’outcome
clinico. Infatti, se alcuni autori (De Sutter et al.,1996; Balaban
et al., 1998) non sono riusciti a mettere in evidenza una correlazione
tra morfologia ovocitaria e tassi di fecondazione o qualità
embrionaria, altri autori hanno osservato una riduzione significativa
dei tassi di gravidanza quando venivano trasferiti solo embrioni provenienti
da ovociti con anomalie morfologiche quali citoplasma scuro (Loutradis
et al., 1999) o granulare (Kahraman et al., 2000) e inclusioni citoplasmatiche
(Serhal et al., 1997). Anche una aumentata viscosità citoplasmatica,
determinata dall’aumentato tempo di permanenza dell’impronta
lasciata dalla penetrazione del microago al momento della ICSI, indicherebbe
la presenza di difetti ovocitari intrinseci responsabili di una riduzione
significativa dei tassi di gravidanza (Ebner et al., 2003). Similmente
è stato riportato un aumento significativo del tasso di gravidanze
biochimiche in seguito al trasferimento di embrioni provenienti da
ovociti dismorfici (Alikani et al., 1995). Verosimilmente, questo
impatto negativo sull’outcome clinico potrebbe essere dovuto
ad un aumento di aneuploidie osservate in ovociti dismorfici (Plachot
et al., 1988; Van Blerkom and Henry 1992; Kahraman et al., 2000).
Per quanto riguarda le anomalie extracitoplasmatiche, queste sono
rappresentate da irregolarità nella forma ovocitaria, aumentato
spazio perivitellino con o senza presenza di detriti nel suo interno,
frammentazioni del primo corpo polare, alterata consistenza dell’oolemma
o della zona pellucida. Se alcune di queste caratteristiche possono
essere correlate prevalentemente con un aumento del tasso di degenerazione
ovocitaria oppure con i tassi di fecondazione od anche con la qualità
embrionaria (Nagy et al., 1995; Ebner et al., 2001), l’aspetto
del primo corpo polare sembra avere valore come fattore prognostico
in termini di tassi di fecondazione, di qualità embrionaria
(Ebner et al., 2000, 2002) e di tassi di impianto e di gravidanza
(Ebner et al., 1999, 2002). Un primo corpo polare frammentato può
infatti essere dovuto ad un “invecchiamento” dell’ovocita
MII in vivo prima del suo prelievo e questa ipermaturità potrebbe
contribuire a ridurre il suo potenziale di sviluppo (Echenlaub-Ritter
et al., 1995; Ebner et al., 1999, 2000).
Poiché, come abbiamo visto, non sempre esiste una univocità
di risultati per quanto riguarda l’effetto di una o dell’altra
anomalia morfologica ovocitaria sull’outcome clinico, situazione
questa verosimilmente dovuta all’assenza di criteri standard
di valutazione della morfologia ovocitaria, alcuni autori hanno proposto
l’impiego combinato di tre markers quali le caratteristiche
del corpo polare, le dimensioni dello spazio perivitellino e le inclusioni
citoplasmatiche, per individuare con più accuratezza gli ovociti
dotati di maggiore potenzialità evolutiva (Xia et al., 1997).
Tali autori hanno osservato che ovociti con il primo corpo polare
intatto, senza frammenti nello spazio perivitellino e senza inclusioni
citoplasmatiche hanno percentuali di fecondazione significativamente
maggiori e migliore qualità embrionaria (Xia et al. 1997).
Valutazione
morfologica del fuso meiotico
L’integrità del fuso meiotico negli ovociti MII è
di cruciale importanza per una normale fecondazione ed un corretto
sviluppo embrionario. Pertanto, in aggiunta ai criteri morfologici
ovocitari menzionati, può risultare utile, al fine di selezionare
il “miglior” ovocita, analizzare la morfologia del fuso
meiotico. A tale scopo è stato di recente introdotto un microscopio
a luce polarizzata (Polscopio) equipaggiato con un software processore
di immagini che permette una valutazione non invasiva del fuso meiotico
sfruttando la sua birifrangenza. Questa struttura altamente dinamica
sul cui piano equatoriale sono disposti i cromosomi è costituita
da microtubuli ed è localizzata alla periferia ovocitaria.
Il fuso meiotico è responsabile della corretta segregazione
cromosomica dopo l’attivazione ovocitaria e la sua integrità
è necessaria per la sequenza di eventi che portano al completamento
della meiosi e della fecondazione. La struttura del fuso meiotico
risulta essere altamente sensibile a modificazioni chimico-fisiche
che si possono verificare durante la manipolazione ovocitaria (Pickering
et al., 1990; Almeida et al., 1995; Zenzes et al., 2001; Wang et al.,
2001). Inoltre anche parametri fisiologici come l’età
materna avanzata sono associati ad una alterazione della sua architettura
(Battaglia et al., 1996). La più drammatica conseguenza di
un danneggiamento fisiologico o indotto del fuso meiotico è
la formazione di embrioni aneuploidi (Bernard e Fuller, 1996). Quindi,
l’integrità della sua struttura, deputata al controllo
dei movimenti dei cromosomi durante la meiosi, rappresenta un punto
di fondamentale importanza nelle potenzialità di sviluppo ovocitario.
La visualizzazione del fuso meiotico e la sua localizzazione in rapporto
al primo corpo polare sembrano essere fattori predittivi per la qualità
e la potenzialità di sviluppo ovocitario.
Il fuso meiotico è visibile in circa il 90% degli ovociti MII
(Fig 3a) (Rienzi et al., 2003; Cooke et al., 2003; Cohen et al.,2004;
Rienzi et al., 2004) e la mancata sua visualizzazione è associata
ad un più basso tasso di fecondazione e di sviluppo embrionario
(Moon et al., 2003; Rienzi et al., 2003; Cooke et al., 2003; Cohen
et al., 2004). Discordanti invece sono i dati relativi al valore predittivo
della localizzazione del fuso meiotico in rapporto alla posizione
del primo corpo polare. Moon e collaboratori (2003) non hanno osservato
differenze significative in termini di percentuale di fecondazione
e di sviluppo embrionario a seconda delle differenti localizzazioni
del fuso meiotico in rapporto al primo corpo polare. Al contrario,
altri autori hanno osservato tassi di fecondazione significativamente
più bassi quando l’angolo formato tra le due strutture
supera i 90° (Fig. 3b) (Rienzi et al., 2003).
Analisi
cromosomica del primo corpo polare
Un altro metodo, peraltro molto più complicato rispetto a quelli descritti
finora, per cercare di selezionare il "migliore" ovocita è l'analisi
genetica del primo corpo polare (Verlinsky et al., 1990). Tale tecnica
si basa sul principio secondo il quale il primo corpo polare costituisce
un'immagine speculare dell'ovocita e pertanto la presenza di un cromosoma
in eccesso nel corpo polare stesso implica l'assenza di tale cromosoma
dall'ovocita che, nel caso in cui dovesse avvenire la fecondazione,
darebbe origine a un embrione monosomico per il cromosoma in questione.
Analogamente la mancanza di un cromosoma nel primo corpo polare indica
la presenza di un cromosoma in più nell'ovocita con conseguente formazione
di un embrione trisomico per il cromosoma analizzato. Una volta prelevato,
il primo corpo polare viene trattato mediante tecnica di ibridazione
in situ a fluorescenza (FISH) per poterne analizzare il materiale
genetico. I cromosomi normalmente analizzati sono quelli maggiormente
coinvolti nelle trisomie e negli aborti spontanei (X,Y,13,15,16,18,21,22;
Munné, 2002; Magli et al., 2004). Attualmente è possibile utilizzare
sonde associate a 5 differenti fluorocromi, permettendo così di analizzare
5 cromosomi contemporaneamente. Per poterne analizzare un numero maggiore,
dopo aver effettuato l'analisi del corpo polare con un primo set di
cromosomi, la stessa cellula viene nuovamente analizzata con un secondo
set di sonde (Benadiva et al., 1996; Martini et al., 1997; Bahce et
al., 2000). L'analisi genetica del primo corpo polare, se confrontata
con quella eseguita sull'embrione, ha l'indiscutibile pregio di consentire
la selezione degli ovociti prima della fecondazione e inoltre non
comporta la selezione di embrioni che presentino anomalie cromosomiche
(Munné, 2002), con evidenti vantaggi dal punto di vista etico, morale
e religioso. E' importante sottolineare anche che poiché i corpi polari
non sono coinvolti nello sviluppo embrionale, la loro rimozione non
influisce sul tasso di fecondazione, sul tasso di clivaggio e sul
tasso di formazione di blastocisti (Verlinsky and Kuliev, 1993). Tuttavia,
questa tecnica presenta una serie di limiti rilevanti rispetto alla
diagnosi genetica effettuata sugli embrioni. Essa infatti trova applicazione
solo in quei casi in cui la patologia genetica è di origine materna(Verlinsky
and Kuliev, 1996; Verlinsky et al., 1996) e risulta efficace in caso
di traslocazioni e aneuploidie (Munné et al., 1995, 1998, 2000a,b;
Munné and Weier, 1996; Verlinsky et al., 1995, 1996, 1998; Verlinsky
and Kuliev, 1996), ma non consente di rilevare anomalie di derivazione
paterna e non permette di ottenere informazioni dirette sul prodotto
del concepimento. Inoltre è soggetta a una possibilità di errore dovuta
al fatto che dopo l'ibridazione in situ ogni cromosoma appare costituito
da un doppio segnale luminoso, uno per ogni cromatide fratello. Può
accadere che tali segnali siano talmente vicini da risultare sovrapposti
ed essere interpretati come un segnale unico con conseguente errore
nella diagnosi (Munné et al., 1995; Dailey et al., 1996). Errori nella
interpretazione possono derivare anche dal fatto che è possibile non
rilevare un cromosoma per una mancata fissazione o una mancata ibridazione
con la sonda specifica (Verlinsky et al., 1996, 1999; Rosenbusch et
al., 2002). Il prelievo dei corpi polari, a causa della loro ridotta
dimensione, risulta inoltre di più difficile esecuzione rispetto a
quello dei blastomeri. E' anche importante notare che applicando tale
tecnica è inevitabile effettuare la ICSI almeno 6 ore dopo il prelievo
ovocitario, tale infatti è il tempo minimo necessario per prelevare
e analizzare il primo corpo polare. Ciò comporta un notevole abbassamento
del tasso di fecondazione (dal 72.2% al 62.5%) (Munné et al., 2000c).
Conclusioni
In seguito alle imposizioni introdotte dalla Legge 19 febbraio 2004,
n. 40, si e' dovuto passare dalla possibilità di selezionare i 2-3
migliori embrioni da trasferire in base a criteri genetici (screening
per le aneuploidie) o morfologici (caratteristiche dei pronuclei,
presenza o meno di multinucleazioni nei blastomeri, percentuale di
frammentazioni anucleate, velocità di crescita dell'embrione ecc)
alla selezione dei tre migliori ovociti da inseminare in base a criteri
clinici e morfologici la cui correlazione con l'outcome clinico e'
ancora tutto da dimostrare. Da un punto di vista clinico sono incoraggianti
i risultati riportati da alcuni, ma non da tutti gli autori, sulla
correlazione tra vascolarizzazione del follicolo e potenziale di sviluppo
dell'ovocita corrispondente. Follicoli maggiormente vascolarizzati
conterrebbero ovociti con maggiore potenziale di fecondazione e di
sviluppo embrionario. Risultati non univoci sono anche riportati sul
ruolo di alterazioni morfologiche citoplasmatiche ed extracitoplasmatiche.
Recentemente, la possibilità della valutazione del fuso meiotico ha
offerto verosimilmente un altro criterio di selezione ovocitaria.
La visualizzazione del fuso e la sua localizzazione in rapporto al
primo corpo polare potrebbe essere correlato ai tassi di fecondazione
e sviluppo embrionario. Tutti questi metodi di selezione ovocitaria
proposti necessitano tuttavia di ulteriori studi per valutare la loro
reale efficacia. La situazione legislativa italiana costringe gli
operatori a sviluppare la ricerca verso questa direzione e ben presto
verranno confermati o identificati nuovi criteri di selezione ovocitaria.
Fig.1
Maturità
nucleare ovocitaria: (a) ovocita allo stadio di metafase II con il
I corpo polare evidente nello spazio perivitellino (?), (b) ovocita
allo stadio di vescicola germinale (? ), (c) ovocita allo stadio di
Metafase I in cui non è presente né il corpo polare
né la vescicola germinale.
Fig. 2
Ovociti
con anomalie extracitoplasmatiche: (a) setti della zona pellucida
(?), (b,c) frammenti nello spazio perivitellino (?), (d) I corpo polare
frammentato (?). Ovocita con anomalia citoplasmatica: (d) citoplasma
granulare.
Fig. 3
Ovociti
con i fusi meiotici evidenziati con il Polscopio: (a) nelle vicinanze
del I corpo polare (?), (b) deviato di più di 90° rispetto
al I corpo polare (?).
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