L’isterectomia, con o senza annessectomia, è attualmente
la più diffusa operazione chirurgica eseguita su donne non
gravide negli Stati Uniti; vengono eseguite infatti circa 600000 interventi
l’anno. Comunemente la tecnica per via vaginale è considerata,
se non ci sono specifiche controindicazioni, la tecnica di prima scelta
per eseguire una isterectomia e fino a qualche decennio fa l’alternativa
alla colpoisterectomia era rappresentato esclusivamente dalla laparoisterectomia,
con tutta una serie di complicanze e svantaggi legati all’approccio
laparotomico. Con l’introduzione della isterectomia vaginale
laparoscopicamente assistita (LAVH) negli anni ’80 da parte
di Harry Reich, un nuovo approccio a questa procedura chirurgica si
è affacciato alla valutazione del mondo scientifico, e varie
modificazioni sono state descritte nell’ultimo decennio: la
classica isterectomia sopracervicale intrafasciale, l’isterectomia
sopracervicale laparoscopica (SLH) e l’isterectomia totalmente
laparoscopica (TLH). Con l’esperienza ottenuta in questi interventi
recentemente, sono stati pubblicati alcuni lavori che hanno permesso
di allargare le indicazioni di questa tecnica celioscopica. Comunque
un generale review dei tipi di isterectomia eseguiti negli Stati Uniti
mostra come solo circa il 10% degli interventi sono eseguiti per via
laparoscopica. Le linee guida dell’American College of Obstetrics
and Gynecologists concludono che per scegliere la via attraverso cui
eseguire l’intervento, bisogna valutare l’anatomia della
paziente e l’esperienza del chirurgo; la maggior parte degli
autori concordano con quest’affermazione. Secondo la loro esperienza
e l’indicazione chirurgica, gli operatori preferiscono eseguire
una LVAH piuttosto che una TLH quando un approccio laparoscopico è
possibile. Mentre, nonostante il costante e notevole aumento di nuovi
strumenti laparoscopici, la TLH è eseguita ancora in pochi
centri al mondo.
Negli Stati Uniti comunque, si è assistito ad un significativo
incremento dei tassi d’isterectomia laparoscopica: dallo 0.3%
nel 1990 al 9.9 % nel 1997. Come dimostrato in tabella I, questo significativo
incremento (circa 30 volte) in numero d’isterectomie laparoscopiche
eseguite, nonostante l’aumento dei costi ospedalieri, circa
raddoppiati per l’approccio laparoscopico (da US $ 5132 ad US
$ 9385) è incoraggiante. Queste differenze si possono spiegare
con l’introduzione di nuovi e più costosi strumenti,
di nuovi manipolatori uterini che permettono una più gran varietà
di angoli d’approccio chirurgici e con l’incremento in
numero di casi eseguiti completamente con un approccio laparoscopico
con un relativo aumento dei tempi chirurgici e conseguentemente dei
costi. L’aumento dei costi riportato per la TLH rispetto all’approccio
vaginale e/o addominale però non va valutato solamente considerando
i costi di ricovero ospedaliero a breve termine, ma dovrebbe prendere
in considerazione anche il costo a lungo termine per la società
di un intervento chirurgico. Dal punto di vista economico quindi,
per valutare l’impatto di un tipo di chirurgia sulla spesa sanitaria
andrebbero considerati sia i costi diretti che quelli indiretti. I
costi diretti sono costituiti da quattro principali componenti: la
procedura chirurgica, servizi aggiuntivi eseguiti da altri dipartimenti,
cure durante il ricovero e spese ospedaliere durante il periodo di
convalescenza. I costi indiretti invece sono definiti come la perdita
del valore produttivo della paziente dovuta alla morbidità
postoperatoria. Da un’analisi dei costi eseguita in Svezia nel
1998 risulta però come la TLH sia più vantaggiosa dal
punto di vista economico rispetto alla laparoisterectomia, come si
evince dalla tabella II.
Un altro problema è il relativo alto tasso di morbidità
riportato in letteratura. Una meticolosa lettura della metodologia
di questi studi, comunque mostra un loro limitato valore: la maggior
parte di questi sono, infatti, retrospettivi con un numero limitato
di casi. Inoltre sono stati eseguiti principalmente da chirurghi esperti
o durante la learning curve della nuova procedura. Una recente pubblicazione
Finlandese, analizza prospetticamente 10110 isterectomie eseguite
in tutta la Finlandia e mostra che con l’aumentare dell’esperienza,
più di 30 procedure consecutive eseguite dall’operatore,
il numero di complicanze si riduce significativamente. La tabella
III mostra questa tendenza paragonando il tasso di complicanze in
pazienti sottoposte ad isterectomia secondo tre differenti metodi:
laparoscopico, vaginale e addominale. La significatività statistica
per ogni modalità è stata valutata comparando le prime
30 procedure con le successive 30. Un miglioramento è stato
notato nel gruppo laparoscopico riguardo alle complicanze a livello
dell’uretere e della vescica; dopo aver eseguito, infatti, più
di 30 procedure l’esperienza del singolo chirurgo aumenta notevolmente
con un tasso di complicanze paragonabile a quello delle altre tecniche
chirurgiche. Quest’articolo analizza anche e il tempo operatorio,
la perdita di sangue stimata, il peso dell’utero e il periodo
di convalescenza per ogni modalità di intervento. Come dimostrato
nella tabella IV: la perdita ematica introperatoria era significativamente
ridotta nel gruppo laparoscopico, paragonata al gruppo addominale
e anche il periodo di convalescenza favoriva significativamente l’approccio
laparosopico. La stessa tabella mostra anche però che il tempo
operatorio era significativamente più lungo per l’approccio
laparoscopico che per la via addominale.
Comunque una recente analisi dei risultati dell’università
di Clermont-Ferrand in Francia mostra un tempo operatorio medio di
90’ paragonabile a quello di un’isterectomia addominale.
Un’ulteriore analisi dei dati dello studio Finlandese mostra
come le dimensioni dell’utero possono essere una limitazione
o una controindicazione per l’isterectomia laparoscopica. Dato
questo che non emerge dall’analisi della statistica di Clermont-Ferrand
Francia dove sono state eseguite oltre 2000 TLH senza conversione
laparotomica. Questo dimostra che quando il chirurgo è esperto
e soprattutto l’organizzazione della sala operatoria è
finalizzata a questo tipo di interventi anche uteri particolarmente
grandi possono essere affrontati per via totalmente laparoscopica.
Infatti, non esiste attualmente nessuna controindicazione assoluta
all’isterectomia laparoscopica. Le controindicazioni relative
includono quelle correlate all’anestesia generale e a problemi
tecnici dovuti all’ingresso in addome: tale è la situazione
in donne con ripetuti tagli cesarei o interventi chirurgici laparotomici,
specialmente con un’incisione mediana dove la possibilità
di aderenze peritoneali periombelicali raggiunge il 50 % limitando
notevolmente il campo operatorio.
Con lo sviluppo della tecnica chirurgica le indicazioni a questo tipo
di intervento al giorno d’oggi sono sempre più ampie.
Una review della distribuzione del tipo di isterectomia per le più
comuni categorie diagnostiche negli Stati Uniti è presente
nella tabella V. E’ evidente da questi dati che la maggior parte
dei chirurghi negli Stati uniti preferisce l’approccio laparoscopico
per il trattamento dell’endometriosi come un’alternativa
alla via addominale.
Un’altra interessante indicazione per cui l’isterectomia
laparoscopica sta assumendo sempre più un’importanza
crescente è per il trattamento del prolasso uterino. I vantaggi
offerti dall’effetto magnificatorio della laparoscopia e dalla
possibilità di mostrare l’anatomia della pelvi femminile
in modo panoramico sono evidenti per questo tipo di patologie. Ulteriore
indicazioni per cui sta crescendo l’interesse per l’isterectomia
laparoscopica sono il carcinoma dell’endometrio e in misura
inferiore il carcinoma della cervice. In una recente pubblicazione
tedesca, un gruppo di 70 pazienti affette da carcinoma endometriale
sono state randomizzate per LAVH o isterectomia addominale. Il principale
vantaggio della LAVH paragonato all’approccio addominale era
una riduzione significativa della perdita di sangue (594.2 ? 629.9
ml vs 229.2 ?190.2 ml). Questa tendenza ha portato inoltre a una riduzione
della necessità di trasfusione di sangue intraoperatorie o
nel post-operatorio. Il numero dei linfonodi pelvici e paraaortici
era paragonabile nei due gruppi. In ogni caso la recurrence-free sopravvivenza
a 40 mesi non differiva nei due gruppi. La durata media dell’intervento
chirurgico risultava significativamente più lunga per il gruppo
della LAVH rispetto alla via addominale, anche se negli ultimi interventi,
con l’affinarsi della tecnica i tempi dei due tipi di interventi
tendono a sovrapporsi. Gli autori giustificano questi risultati grazie
alla maggior esperienza in chirurgia laparoscopica del loro centro.
In realtà, però, nella pratica clinica comune, nonostante
l’aumentare delle indicazioni chirurgiche, e i miglioramenti
della tecnica e degli strumenti laparoscopici, e i sempre più
numerosi studi sulla fattibilità di un tale tipo di intervento
il ruolo della laparoscopia è relegato a pochi isolati centri
di eccellenza o a pochi isolati casi di uteri di ridotte dimensioni,
facendo sì che ancora oggi la via attraverso cui eseguire un
così comune intervento chirurgico (vaginale, laparotomico o
laparoscopico) sia ancora oggetto di discussione. Il fallimento della
diffusione della TLH suggerisce che la tecnica chirurgica non è
stata adeguatamente insegnata e/o che i suoi vantaggi rispetto alla
via laparotomica non sono stati pienamente apprezzati. L’obbiettivo
che dovrebbe raggiungersi nel corso degli anni infatti, non è
prediligere una via rispetto alle altre, ma piuttosto far sì
che tutte e tre le tecniche siano eseguite nel modo migliore possibile
in modo tale da poter eseguire l’una o l’altra indifferentemente
a seconda dell’indicazione chirurgica. Una probabile flow-chart
per il tipo di intervento chirurgico da eseguire è stata proposta
infatti sempre da Chapron nel 1996 ed è riassunta nella figura
I.
Nella pratica comune invece, le dimensioni dell’utero, anche
queste in modo differente da centro a centro, spesso rappresentano
un problema nella scelta dell’approccio chirurgico; l’approccio
vaginale e generalmente controindicato e la laparoscopia è
considerata molto rischiosa così che l’80-90% delle isterectomie
di uteri di grandi dimensioni sono eseguite per via laparotomica,
a volte con un’incisione ombelico-pubica. Le dimensioni e la
mobilità dell’utero infatti rimangono i fattori limitanti
per eseguire una TLH. Per ridurre il numero delle isterectomia laparotomiche
è necessario valutare la fattibilità dell’approccio
laparoscopico anche per uteri di grosse dimensioni.
Scopo del nostro studio infatti, dopo aver valutato una casistica
di 434 TLH eseguite in un singolo centro negli ultimi 4 anni per stabilire
il reale ruolo della TLH, è di paragonare i risultati chirurgici
e il follow-up a breve termine di due gruppi di pazienti sottoposte
a TLH, uno con uteri di taglia normale (<350 gr) e l’altro
con uteri di dimensioni notevolmente aumentate (>500 gr) per dimostrare
proprio la fattibilità e la relativa sicurezza di un tale approccio
chirurgico.
Da Luglio
1997 a maggio 2001, 434 pazienti affette da una patologia uterina
benigne sono state sottoposte ad un’isterectomia totalmente
laparoscopica. I criteri di inclusione sono stati una patologia uterina
benigna e l’approvazione della paziente, mentre i criteri di
esclusione sono state le controindicazioni anestesiologiche per una
chirurgia di tipo laparoscopico e il sospetto di una patologia maligna.
Nessun limite di dimensioni uterine, né di pregressi interventi
chirurgici è stato posto per iniziare l’intervento mediante
un approccio laparoscopico. Tutte le pazienti sono state sottoposte
ad una valutazione clinica preoperatoria e ad un esame ultrasonografico
della pelvi; quando indicato invece è stata eseguita una biopsia
endometriale e/o un’isteroscopia diagnostica. Le principali
indicazioni chirurgiche sono riassunte in tabella VI.
La durata dell’intervento è stata calcolata dall’inizio
alla fine della procedura anestesiologica. Un esame emocromocitometrico
è stato eseguito in tutte le donne 24 ore dopo l’intervento,
mentre un short-term follow-up è stato programmato 4-6 settimane
dopo la dimissione. Durante questo periodo 36 donne non si sono presentate
al controllo. Sono state considerate come complicanze precoci quelle
insorte durante al massimo entro 1 settimana dall’intervento,
mentre tardive quelle insorte dopo rilevate 1 mese dopo la procedura
chirurgica al controllo ambulatoriale; tra le complicanze precoci
sono state considerate maggiori quelle che hanno richiesto una trasfusione
di sangue o un ulteriore intervento chirurgico, mentre minori quelle
trattabili clinicamente e che non comportavano un pericolo di vita
per la paziente.
Sono state anche analizzate in maniera retrospettiva, 100 TLH consecutive
di uteri pesanti più di 500 gr e 149 TLH consecutive di uteri
con un peso inferiore ai 350 gr eseguite negli ultimi anni. Per ridurre
i BIAS sono state incluse nello studio solo pazienti con patologia
uterina equivalente (fibromatosi uterina a nodi multipli), e interventi
eseguiti tutti da chirurghi esperti in chirurgia laparoscopica avanzata,
che avevano già eseguito almeno 100 TLH. I due gruppi uno con
dimensioni uterine < 350 gr e l’altro con peso uterino >
500 gr, sono stati comparati per tasso di complicanze, tempo operatorio,
ricovero ospedaliero, perdita ematica intraoperatoria e benessere
al controllo post-operatorio a un mese.
Dall’analisi delle 434 TLH eseguite risulta che l’età
media delle pazienti era 48 ? 5 anni. Il tempo operatorio medio, considerato
dall’inizio della procedura anestesiologica alla fine della
stessa, è stato di 132,8 ? 57,6 minuti, mentre il peso medio
dell’utero 327,16 ? 83,5 gr (range 80-1550 gr). La caduta media
di emoglobina rilevata in prima giornata e la durata della degenza
ospedaliera erano rispettivamente 1,25? 0,9 gr/dl e 2,69 ? 1,6 giorni.
Tali dati sono paragonabili con quelli presenti in letteratura. Durante
le 434 procedure laparoscopiche la conversione alla laparotomia è
stata necessaria in 5 casi (1,15%), in 2 casi per eccessivo sanguinamento,
in altri 2 per difficoltà di visione e in uno per problemi
anestesiologici correlati al rapido aumento di CO2 plasmatica. Dall’analisi
delle complicanze intraoperatorie si nota come sia avvenuta solo una
lesione ureterale, riparata durante lo stesso intervento, sempre per
via laparoscopica con uno stent ureterale introdotto per via cistoscopica
e una lesione intestinale riparata sempre tramite una sutura laparoscopica.
Ci sono state inoltre 36 (8,2%) complicanze precoci post-operatorie
maggiori e minori in 30 pazienti. In 3 di questi casi è stato
necessario ricorrere ad un secondo intervento, una volta per via laparoscopica
e due volte per via laparotomica per emoraggia e peritonite. Negli
altri 33, le complicanze minori sono state trattate senza ricorrere
alla chirurgia, tranne in un caso di deiescenza della sutura della
cupola vaginale che ha richiesto una ulteriore sutura per via vaginale.
La lista completa delle complicanze precoci è riassunta nella
tabella VII. Nelle 398 pazienti seguite ad un mese dall’intervento
ci sono state 48 (12%) complicanze considerate minori e 4 (1%) considerate
maggiori. Queste ultime hanno richiesto un ulteriore ricovero ospedaliero,
e una paziente è morta per embolia polmonare. In questo caso
non è stata mai provata una relazione causale tra l’evento
avverso e la procedura chirurgica. Tra le complicanze minori 4 donne
hanno avuto bisogno di un nuovo ricovero: due per dolore pelvico e
altre due per riparare la volta vaginale. L’elenco completo
delle complicanze tardive è riportato nella tabella VIII. In
queste pazienti presentatesi al controllo a 1 mese il tempo di recupero
per una normale attività lavorativa dopo l’intervento
chirurgico è stato di 12,9 giorni.
Se analizziamo i due gruppi di pazienti divisi a seconda del peso
dell’utero, eliminando tutte quelle TLH associate a altre procedure
chirurgiche come per esempio le Burch, e tutte quelle TLH eseguite
per endometriosi o incontinenza o prolasso o masse annessiali e prendiamo
solo in considerazione solo quelle TLH eseguite per fibromatosi uterina
a nodi multipli e soprattutto eseguite da chirurghi esperti che hanno
eseguito oltre 100 TLH si ottengono 149 TLH con un utero di peso <
350 gr (range 80-350 gr) e 100 TLH con utero notevolmente aumentato
di volume con un peso > 500 gr (range 500-1550 gr). I risultati
della chirurgia laparoscopica dei due gruppi sono elencati nella tabella
IX. Non ci sono significative differenze tra i due gruppi in termini
di complicanze intraoperatorie, tempo di ricovero in ospedale e complicanze
tardive. Le due complicanze intraoperatorie avvenute nel gruppo 2
hanno richiesto una conversione alla laparotomia, una per problemi
anestesiologici correlati all’ipercapnia e l’altra per
difficoltà di visione laparoscopica fin dall’inizio dell’intervento
a causa di aderenze intraaddominali postchirurgiche. In entrambi i
gruppi non si sono verificate lesioni ureterali, vescicali o intestinali.
Analizzando la tabella si nota come il tempo operatorio e la perdita
di sangue stimata al momento dell’intervento sono invece significativamente
aumentate per il gruppo 2 rispetto al gruppo 1. In ogni caso è
un problema presente anche negli approcci vaginali e laparotomici
l’aumentare del tempo operatorio con l’aumentare delle
dimensioni dell’utero; inoltre la perdita ematica ottenuta durante
l’intervento non è stata mai superiore ai 500 ml, tale
da richiedere una trasfusione d’urgenza o organizzare il macchinario
per il recupero sangue durante l’intervento stesso. Se andiamo
ad analizzare le complicanze postoperatorie precoci maggiori abbiamo
una differenza significativa tra i due gruppi (2,01% vs 8%, rispettivamente),
mentre per quanto riguarda le minori non vi è una differenza
significativa. Anche al controllo post-operatorio ad un mese non ci
sono differenze significative trai due gruppi.
La tabella X mostra i differenti tipi di complicanze avvenute nei
due gruppi. Dall’analisi della tabella risulta come tra le complicanze
maggiori precoci la colporaggia è un evento comune tra i due
gruppi, mentre il gruppo 2 è più soggetto ad andare
incontro ad una caduta dell’emoglobina > 3 gr rispetto al
gruppo 1, come per una maggior difficoltà nel controllare l’emostasi
durante l’isterectomia laparoscopica per uteri > 500 gr.
In ogni caso non è stato necessario nessun reintervento e nessuna
trasfusione di sangue in tutti e due i gruppi. Per quanto riguarda
le complicanze precoci minori e le complicanze tardive non si nota
una differenza significativa tra i due gruppi. Le complicanze tardive
sono state trattate solo con terapia medica domiciliare, mentre solo
due pazienti hanno avuto bisogno di un nuovo ricovero di due giorni
una per una risutura della cupola vaginale e l’altra per notevole
dolore addominale, riscontrato un una paziente del gruppo 1, risoltosi
spontaneamente. Al controllo post-operatorio ad un mese è stata
valutato anche il tempo intercorso dall’operazione al momento
in cui la paziente si sentiva abbastanza bene per ritornare al lavoro,
e non è stata trovata nessuna differenza significativa tra
i due gruppi (12.47 ? 7.47 vs 14.37 ? 8.26 tra gruppo 1 e gruppo 2
rispettivamente).
Sebbene
la via vaginale è da anni riconosciuta come quella associata
ad un minor tempo operatorio, minor degenza ospedaliera e anche minori
costi, la maggior parte delle isterectomia ai giorni nostri viene
eseguita per via addominale. La maggior parte dei chirurghi considerano
infatti come controindicazioni, abbastanza frequenti, alla colpoisterectomia
i seguenti fattori: utero di dimensioni superiori a 280 gr, precedente
chirurgia pelvica, storia di pregressa Malattia Infiammatoria Pelvica,
moderata o severa endometriosi, concomitanti masse annessiali o necessità
di eseguire una annessectomia profilattica, nulliparità con
limitato accesso vaginale. Nonostante il fatto che chirurghi vaginalisti
esperti possono essere capaci di rimuovere per via vaginale circa
l’89% degli uteri, e che l’annessectomia profilattica
può essere eseguita in circa il 94% dei casi da un abile vaginalista,
non tutti i chirurghi ginecologi si sentono sicuri di eseguire una
colpoisterectomia, come dimostrato dai numeri di laparoisterectomie
e di colpoisterectomie eseguite in Europa e negli Stati Uniti. Con
l’avvento della chirurgia laparoscopica, il miglioramento della
tecnica e l’introduzione di nuovi strumenti negli ultimi dieci
anni si è assistito ad una sempre maggior diffusione di questo
approccio chirurgico con un graduale e continuo aumento del tasso
di Total Laparoscopic Hysterectomy (TLH) o Laparoscopic Assisted Vaginal
Hysterectomy (LAVH) rispetto alla colpoisterectomia e soprattutto
alla laparoisterectomia. L’approccio laparoscopico infatti ha
la funzione di rimuovere quelle che sono considerate le principali
controindicazioni alla via vaginale, con vantaggi rispetto alla via
addominale che appaiono scontati. L’approccio migliore alla
isterectomia infatti, dovrebbe mantenere i vantaggi della via addominale,
che includono una chiara visualizzazione, e una facile manipolazione
delle strutture annessiali, combinare questi con i vantaggi della
via vaginale, principalmente evitare una larga incisione addominale.
La TLH o la LAVH possono infatti combinare queste tecniche, con i
relativi vantaggi. In ogni caso i benefici offerti quali le dimensioni
della cicatrice cutanea, un minor dolore postoperatorio e un minor
tempo di degenza, sarebbero irrilevanti se le due nuove procedure
laparoscopiche causassero irragionevoli rischi per la paziente.
L’avvento di queste nuove tecniche ha suscitato numerosi dubbi
nei ginecologi non avvezzi alla laparoscopica a proposito dei costi
e soprattutto della più alta possibilità di complicanze
di questi nuovi approcci.
Dopo la prima isterectomia laparoscopica eseguita nel 1988, quando
questo tipo di intervento è diventato più comune, alcuni
studi comparativi sono stati eseguiti negli anni novanta. Uno studio
retrospettivo del 1996, eseguito in un singolo centro mostra come
il tasso di complicanze maggiori e di complicanze totali era del 1%
e 9% per le addominali, 5% e 7% per le vaginali e 3% e 8% per le isterectomia
laparoscopiche, rispettivamente. Questo in accordo con i risultati
di una vasta analisi di oltre 160000 isterectomie in 180 ospedali
dell’Ohaio eseguite dal 1988 al 1994, che mostrava una percentuale
di complicanze totali del 9.1%, 7.8% e 8.8% nelle isterectomia addominali,
vaginali e laparoscopiche rispettivamente. Altri dodici studi randomizzati
hanno anche calcolato il tasso di complicanze totali a seconda della
tecnica usata e non è stata trovata alcuna differenza in nessuno
studio per quanto riguarda il tasso di complicanze dei diversi tipi
di isterectomia, con solo una maggiore significativa incidenza di
febbre post-operatorio per le isterectomia addominali rispetto alle
laparoscopiche (46% vs 15%).
Quando si introduce una nuova tecnica chirurgica è sempre un
problema impararla senza causare danni nei pazienti. Inoltre le aspettative
correlate ad una chirurgia “mini-invasiva” sono sempre
molto alte e conseguentemente la delusione è molto alta quando
avviene una complicanza; mentre se la stessa avviene durante una chirurgia
tradizionale essa viene accettata come inevitabile. Inoltre se si
analizzano le complicanze di differenti tecniche chirurgiche, va considerato
però che un fattore molto importante è l’abilità
e quindi l’esperienza dell’operatore. Tutte le nuove tecniche
chirurgiche pertanto necessitano di una learning curve adeguata per
poter essere valutate: una chiara e dimostrata riduzione dei tempi
operatori e in qualche caso una riduzione delle complicanze è
stata osservata con l’aumentare dell’esperienza dell’operatore
nella TLH. La principale complicanza correlata alla TLH è la
lesione ureterale. Il tasso di lesione ureterale in caso di colpoisterectomia,
laparoisterectomia totale o subtotale è basso se comparato
alla TLH. Ma con l’aumentare dell’esperienza del chirurgo
le percentuali di complicanza sono pressoché sovrapponibili.
Da uno studio Finlandese, inoltre, risulta come tali lesioni siano
più comuni negli ospedali locali rispetto agli ospedali universitari
dove si presume ci sia una maggiore esperienza. Con l’aumentare
dell’esperienza chirurgica nella TLH quindi si è riusciti
ad ottenere un tasso di complicanze sovrapponibile alla laparotomia
e si è quindi cercato di incrementare le indicazioni alla TLH
rispetto alla via laparotomica. Dall’analisi del nostro studio
si può dedurre che la TLH può essere eseguita nella
maggior parte delle donne che necessitano di una isterectomia, evitando
una laparotomia anche quando l’utero è aumentato di dimensioni.
Il semplice spostamento della telecamera dal trocart ombelicale ad
un accesso posto circa 5 cm sopra l’ombelico, permette l’esecuzione
di TLH anche in donne con uteri che a causa della spinta del manipolatore
uterino arrivano all’ombelicale trasversa. Solo 5 conversioni
infatti alla via laparotomica sono state necessarie e la maggior parte
di queste per motivi legati alla difficoltà della visione.
Un accesso difficoltoso, e i problemi correlati all’esposizione
e all’estrazione dell’utero sono le principali problematiche
correlate alla TLH soprattutto quando l’utero è di dimensioni
notevolmente aumentate. Una tale caratteristica infatti determina
un limitato accesso al peduncolo vascolare con un conseguente maggior
rischio di emorragia. Con adeguate modificazioni alla tecnica chirurgica
però risulta possibile superare questi limiti: l’uso
di una telecamera a 30 gradi permette una buona visione con migliori
angoli di approccio al peduncolo uterino e l’introduzione della
sutura sui peduncoli vascolari permette di ridurre il rischio di sanguinamento
rispetto alla coagulazione bipolare e nello stesso tempo riduce i
rischi di lesioni ureterali.
Dall’analisi delle 434 isterectomie laparoscopiche risulta come
sia una tecnica chirurgica fattibile e sicura anche se secondo l’opinione
comune uteri di dimensioni notevolmente aumentate sono una principale
controindicazione all’approccio laparoscopico e una indicazione
per la via addominale; va detto però che anche per l’approccio
laparotomico tali uteri sono associati a un più alto tasso
di complicanze, più lunga degenza ospedaliera, aumentato dolore
postoperatorio e prolungato periodo di convalescenza. Dalla nostra
casistica invece si evince proprio come le dimensioni dell’utero
non risultano essere una controindicazione assoluta alla via laparoscopica.
Dalla analisi delle 249 isterectomie eseguite per fibromatosi uterina
divise in due gruppi a seconda del peso dell’utero si vede come
vi sia una chiara, ma ben comprensibile, differenza significativa
tra i tempi necessari per l’intervento, proprio però
come succede per la via laparotomica. Diversamente da quanto risulta
in letteratura le isterectomie eseguite su uteri > 500gr invece,
non sono gravate invece da un maggior tasso di complicanze, eccetto
per la caduta di emoglobina al giorno 1 postoperatorio. Le pazienti
con utero > 500 gr infatti mostrano una percentuale di complicanze
emorragiche (caduta di Hb > 3 gr/dl in prima giornata) significativamente
maggiore rispetto al primo gruppo, anche se non è stata mai
necessaria una trasfusione di sangue. La magnificazione ottenuta dal
laparoscopio, la maggiore accuratezza nella dissezione dei piani anatomici
hanno infatti come conseguenza una notevole precisione nell’emostasi
chirurgica intraoperatoria, ottenibile anche per uteri di notevoli
dimensioni. Tutte le altre complicanze prese in considerazione risultano
equamente distribuite nei due gruppi e anche il tempo di degenza ospedaliera
e di recupero del benessere a casa risultano sovrapponibili, proprio
a dimostrazione di una fattibilità di questo tipo di intervento
chirurgico.
Per raggiungere risultati così ottimisti sicuramente l’esperienza
del chirurgo è un fattore fondamentale. Tutti gli studi che
hanno valutato l’effetto della learning curve sull’esito
degli interventi chirurgici mostrano come 30 sia il numero necessario
per ottenere dei risultati soddisfacenti, ma oltre alla bravura-esperienza
del chirurgo va considerata l’organizzazione della sala operatoria,
e quindi del personale di sala, indirizzati verso questo tipo di chirurgia.
La chirurgia laparoscopica, specialmente con l’aumentare della
indicazioni chirurgiche, necessita di un personale di sala motivato
e istruito in maniera tale da ridurre i tempi operatori che sono il
principale “tallone d’Achille” di questo tipo di
chirurgia; solo in questo modo infatti si potranno godere dei benefici
offerti dalla chirurgia laparoscopica anche per quelli interventi
che tradizionalmente sono eseguiti per via laparotomica. Non ha senso
infatti, come è stato criticato anche da altri illustri autori,
valutare i risultati dell’isterectomia laparoscopica prendendo
in esame 920 isterectomie laparoscopiche eseguite in 30 centri universitari
o ospedalieri: significa questo che ogni centro in media ha eseguito
solo 30.6 interventi, troppo pochi per un singolo centro per poter
garantire una learning curve capace da potersi confrontare con anni
di esperienza per la via addominale o vaginale. In uno studio francese
del gruppo di Clermon-Ferrand infatti è stato notato come paragonando
i risultati delle TLH eseguite tra il 1989 e il 1995 e quelle eseguite
tra il 1996 e il 1999, il tasso di conversione alla laparotomia è
sceso dal 4.7% al 1.4%, l’incidenza di complicanze maggiori
dal 5.6 % al 1.3% e il tempo operatorio da 115 minuti a 90 minuti.
L’esperienza chirurgica, l’organizzazione della sala operatoria
e la predisposizione mentale del chirurgo e del personale di sala
possono quindi garantire dei tassi di successo notevoli per la TLH,
anche quando le indicazioni preoperatorie sembravano indicare più
idoneo un approccio diretto verso la laparotomia. Con l’esperienza
chirurgica infatti le complicanze postoperatorie e i tempi operatori
si sono ridotti notevolmente negli ultimi anni fino a livelli paragonabili
a quelle della laparotomia, conservando i vantaggi della laparoscopia.
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Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
° Ospedale Sacro Cuore Don Calabria Negrar (Vr)
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