Contraccettivi orali e tumori



CONTRACCETTIVI ORALI E TUMORI

Carlo La Vecchia 1,2
1 Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri", 20157, Milano, Italia.
2 Istituto di Statistica Medica e Biometria, Università degli Studi di Milano, 20133 Milano, Italia.


Negli ultimi anni diversi studi epidemiologici hanno considerato la possibile relazione tra l'uso di contraccettivi orali (CO) e rischio di diversi tipi di tumore [1] e nel giugno 1998 un gruppo di lavoro nominato dall'International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione dopo aver valutato i risultati di tali studi ha concluso nella Monografia N° 72, che "vi sono evidenze per la cancerogenicità dei contraccettivi orali", relative però al solo aumento di rischio per il carcinoma epatocellulare nelle donne negative al virus dell'epatite B [2].
Nel seguente articolo viene rivisto criticamente l'insieme dei dati epidemiologici sulla relazione tra uso di CO e rischio di vari tipi di tumore, con particolare attenzione ai dati più recenti.

Tumore della mammella
La maggior parte delle attuali conoscenze sul rischio di tumore della mammella associato all'uso di CO deriva da una rianalisi collaborativa di 54 studi epidemiologici che include in totale 53.297 casi di tumore della mammella [3]. Questa rianalisi ha mostrato che l'uso di CO estro-progestinici, nelle utilizzatrici correnti e in coloro che hanno smesso da 10 anni o meno dalla sospensione è associato a un modesto aumento di rischio di tumore della mammella (rischio relativo= RR, 1,24). La durata d'uso, come pertanto il dosaggio e il tipo di formulazione sembrano avere scarso effetto sul rischio. Successivi studi prospettici e caso-controllo hanno confermato che l'uso di CO in passato non è associato ad aumento di rischio di tumore alla mammella; i moderati aumenti di rischio in alcuni sottogruppi di utilizzatrici riportati in alcuni studi non hanno trovato riscontro in altri, e sono pertanto probabilmente attribuibili al semplice effetto del caso.
È possibile che questo rischio sia più basso per le utilizzatrici di pillole recenti, a basso dosaggio.
In termini di sanità pubblica, questi risultati indicano quindi che il modesto aumento del rischio durante l'uso e negli anni immediatamente successivi la sospensione di CO non è rilevante in termini di numeri assoluti di neoplasie, in quanto il tumore della mammella è poco frequente nelle donne giovani che utilizzano CO sotto i 35 anni [4]. È comunque rassicurante che a pochi anni dalla sospensione dell'uso, in età in cui il tumore della mammella ha incidenza molto superiore, il rischio nelle utilizzatrici di CO scenda a valori prossimi a quelli delle donne che non avevano mai utilizzato CO, indipendentemente dalla durata di uso. È inoltre possibile che tale rischio non sia più osservato per le utilizzatrici delle preparazioni più recenti a basso dosaggio.

Tumore della cervice
Il papilloma virus umano è la principale causa di neoplasia cervicale [5], ma è possibile che esistano altri fattori di rischio. L'analisi della relazione fra CO e tumore della cervice è quindi riferibile alle sole portatrici di HPV [1]. In alcuni studi caso-controllo e in un'analisi complessiva di 8 studi, il rischio di tumore alla cervice (principalmente carcinoma a cellule squamose) è associato all'uso prolungato di CO (RR = 4,5).
Un'associazione durata-rischio è stata riportata in uno studio caso-controllo coordinato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) su 377 casi di adenocarcinoma e adenocarcinoma squamoso, con un RR di 2,2 per almeno 8 anni di uso di CO [5]. In uno studio caso-controllo italiano su 592 casi, il RR per le utilizzatrici rispetto a coloro che non avevano mai usato CO era di 1,21 [6]. Il rischio di tumore invasivo della cervice era aumentato nelle utilizzatrici correnti (RR = 1,23) e nelle donne che avevano sospeso l'uso meno di 10 anni prima della diagnosi, ma non in quelle che avevano sospeso l'uso da almeno 10 anni (RR = 0,85) [6].
Recenti dati, limitati alle donne positive a HPV, suggeriscono che l'impiego prolungato di CO potrebbe aumentare il rischio di carcinoma invasivo o in situ nelle donne portatrici del virus da lungo tempo.

Tumore dell'endometrio
L'uso di CO riduce il rischio di tumore dell'endometrio approssimativamente del 50% [1,2]; questa protezione aumenta con la durata d'uso, e persiste per almeno 10-20 anni dopo la sospensione del farmaco [1]. Tuttavia, il numero limitato di donne di età avanzata che hanno fatto uso di CO non permette di ottenere una stima precisa del rischio associato all'uso prolungato nel passato. Una quantificazione più dettagliata dell'effetto a lungo termine dei CO sul tumore dell'endometrio rimane quindi un dato importante per la stima del rapporto rischio/beneficio e dell'impatto sulla sanità pubblica della pillola.

Tumore dell'ovaio
Analisi sistematiche della mortalità per tumori dell'ovaio in 16 paesi Europei [7] e negli Stati Uniti, hanno mostrato che nelle donne nate dopo il 1920 (le generazioni utilizzatrici di CO) si sono registrate riduzioni nella mortalità per neoplasie dell'ovaio, in particolar modo nei paesi dove l'uso di CO si è diffuso più precocemente.
Per ciò che concerne l'epidemiologia analitica, almeno quattro studi di coorte condotti negli Stati Uniti e in Inghilterra hanno fornito dati sulla relazione fra l'uso di CO e il tumore epiteliale dell'ovaio. Il RR complessivo derivato dagli studi di coorte, sulla base di circa 400 casi di tumore dell'ovaio, è intorno a 0,6 per il complesso delle utilizzatrici di CO e a 0,4 per le utilizzatrici per oltre 5 anni. In particolare, nello studio prospettico basato su 121.700 infermiere americane, il RR scendeva a 0,6 per almeno 5 anni di uso.
Analogamente, gli studi caso-controllo più recenti hanno riportato un RR al di sotto dell'unità per l'insieme delle neoplasie ovariche, con una possibile protezione più forte per le neoplasie sierose ed endometrioidi che per quelle mucinose. In uno studio di popolazione condotto in Australia su 824 casi di tumore dell'ovaio, è stato riportato un RR di 0,6, che scendeva a 0,26 per almeno 10 anni di impiego. Uno studio nord americano ed europeo su 207 donne con tumore ovarico ereditario, ha riportato un RR di 0,4 fra le utilizzatrici di CO; il rischio era inversamente correlato alla durata d'uso, fino a raggiungere il 70% di protezione per almeno 6 anni di uso. In uno studio caso-controllo di popolazione condotto in Israele su 840 donne con tumore dell'ovaio, fra cui 244 in donne portatrici di geni BRCA1 e BRCA2, l'uso di CO era associato a un rischio ridotto di tumore ovarico soprattutto nelle non portatrici. Due studi caso-controllo su base ospedaliera sono stati condotti in Italia negli anni 1990 sul tumore dell'ovaio. Uno di questi, condotto a Roma [8] su 440 casi, ha riportato un RR 0,4 per l'uso di CO e 0,3 per l'uso prolungato. Il secondo, uno studio multicentrico condotto in 4 aree del nord, centro e sud Italia su 1.031 casi, ha riportato un RR di 0,5 per almeno 5 anni di uso [9].
Due rianalisi collaborative di studi caso-controllo, una condotta su donne europee [10] e l'altro su donne americane [11], per un totale di più di 3.000 casi di tumore ovarico hanno riportato risultati simili, con un RR intorno a 0,6 per le utilizzatrici di CO e intorno a 0.4 per l'uso prolungato.
In sintesi il rischio di tumore ovarico nelle utilizzatrici di CO è diminuito approssimativamente del 40%, e la protezione sembra essere almeno del 50% e probabilmente intorno al 60%, per l'uso prolungato (almeno 5 anni), indipendentemente dal tipo di preparazione. L'effetto protettivo dei CO sui tumori ovarici epiteliali sembra persistere per almeno 15-20 anni dopo la sospensione dell'utilizzo e non è confinato a nessun particolare tipo di formulazione. Inoltre, non sembra dipendere dal numero di gravidanze, dall'età o da altri fattori di rischio, quali lo stato civile, la scolarità, lo stato menopausa, l'uso di altri tipi di contraccezione, e altri fattori mestruali e riproduttivi.
Almeno due studi e una meta-analisi di 12 studi americani hanno considerato la relazione tra uso di CO e rischio di tumori ovarici epiteliali di malignità borderline. Vi era una relazione inversa anche per queste neoplasie, suggerendo che i CO esercitino una protezione sull'intero spettro di neoplasie ovariche epiteliali. Per quanto riguarda i tumori ovarici non epiteliali, il RR era di 2,0 per i tumori delle cellule germinali e 0,4 per le neoplasie dello stroma del cordone sessuale. I pochi dati disponibili indicano anche una consistente protezione dei CO sui tumori benigni epiteliali, quali le cisti ovariche, ma non sui teratomi ovarici benigni. Da un punto di vista dei meccanismi biologici, per spiegare l'effetto protettivo dei CO sul rischio di tumore ovarico è stata proposta l'ipotesi del blocco dell'ovulazione. La stasi ovarica, indotta dai CO così come dalla gravidanza e dalla menopausa, sottrarrebbe l'epitelio ovarico a ricorrenti traumi e a contatti con i fluidi follicolari.
Tuttavia, la sola soppressione dell'ovulazione non è sufficiente per giustificare un così forte effetto protettivo. È stato anche suggerito che i CO proteggano dal tumore dell'ovaio riducendo i livelli ematici dell'Insuline-like Growth Factor-1 (IGF-1), e/o dall'esposizione a gonadotropine pituitarie. Tuttavia, la mancanza di apparente protezione della terapia ormonale sostitutiva non conferma l'ipotesi di un possibile ruolo favorevole sulla carcinogenesi ovarica della stimolazione delle gonadotropine.
Negli ultimi anni, nella maggioranza dei Paesi sviluppati si sono registrate sostanziali diminuzioni dell'incidenza e della mortalità per tumore dell'ovaio nelle giovani donne, attribuibili almeno in parte all'effetto protettivo associato all'uso dei CO [12]. Dal momento che l'incidenza del tumore ovarico non è trascurabile già nella mezza età, e che la sopravvivenza dalla malattia è insoddisfacente, la protezione dei CO evita un considerevole numero di casi e di decessi, ed è quindi uno dei principali argomenti nella valutazione del rapporto rischio/beneficio dei CO e delle relative implicazioni per la sanità pubblica.

Tumore del colonretto
I fattori riproduttivi e ormonali sono stati chiamati in causa nella carcinogenesi del tumore del colonretto in seguito all'osservazione di una elevata incidenza della malattia fra le suore e sull'effetto protettivo associato alla terapia ormonale sostitutiva. Una dettagliata revisione critica della letteratura ha esaminato 4 studi prospettici, 3 dei quali hanno riportato RR al di sotto dell'unità per l'uso di CO. Una meta-analisi di 12 studi ha riportato una stima complessiva del rischio di 0,82, (intervallo di confidenza al 95% 0.75-0.91) (Figura 1). La durata d'uso non influiva sul rischio con un RR di 0,78 per breve periodo di uso e di 0,85 per l'uso prolungato. L'andamento del rischio era simile per il colon e il retto, e la protezione sembrava più forte per l'uso recente (RR = 0.46) [13].
Uno studio più recente, condotto in Wisconsin e basato su 1222 casi di tumore del colon, 366 colon retto e 4297 controlli ha riportato un RR di 0.89 (IC 95% 0.76-1.06) per le utilizzatrici di CO rispetto alle non utilizzatrici. Non vi era relazione con la durata, ma il RR per il tumore del retto nelle utilizzatrici recenti (<14 anni) era di 0.45 (IC 95% 0.28-1.00, [14].
L'interpretazione di questi dati resta tuttavia aperta a discussione. Da un punto di vista biologico, gli ormoni femminili potrebbero esercitare un effetto protettivo agendo sulla sintesi e secrezione della bile, in particolare riducendo la concentrazione di acidi biliari nel colon. È stato anche riportato un effetto inibitorio degli estrogeni sulla crescita delle cellule tumorali del colon in vitro e un'elevata espressione di recettori per gli estrogeni sulle cellule epiteliali sane e neoplastiche del colon. Gli estrogeni potrebbero, inoltre, ridurre i livelli serici di IGF-1, che è stato associato a un aumento di rischio di tumore del colon.
Anche se i dati epidemiologici suggeriscono che l'uso di CO sia inversamente associato al rischio di tumore del colon-retto analogamente a quanto riscontrato per la terapia ormonale sostitutiva, alcuni aspetti quali il problema della durata d'uso e di un più adeguato aggiustamento per i fattori confondenti rimangono indefiniti. Pertanto, la relazione fra CO e tumore del colonretto resta aperta a discussione.

Tumore del fegato
Diversi studi epidemiologici hanno riportato un'associazione fra l'uso di CO e il tumore primitivo del fegato, soprattutto per l'uso prolungato di CO in popolazioni a bassa prevalenza di infezioni virali da epatite B e C, e di patologie epatiche croniche. Il Multicenter International Liver Study [15], basato 293 casi di tumore del fegato, ha confermato l'aumento del rischio con la durata d'uso di CO nelle donne senza diagnosi di cirrosi epatica, o evidenza di infezione da virus dell'epatite (RR = 2,8 per almeno 6 anni d'uso).
Alla luce di queste evidenze epidemiologiche, l'associazione fra uso di CO e rischio di epatocarcinoma ha indotto il gruppo di esperti dallo IARC a classificare i CO e in particolare quelli ad alto dosaggio ormonale come "cancerogeni per l'uomo" [2].
Questa associazione non ha però sostanziale rilevanza a livello di sanità pubblica nei Paesi sviluppati, in considerazione della rarità del carcinoma epatico primitivo nelle donne giovani.
Di conseguenza, e in conclusione, ogni valutazione di rischi e benefici dei CO sul cancro va riferito alle due neoplasie più frequenti e importanti, ossia il modesto rischio di carcinoma della mammella nelle utilizzatrici correnti, e la persistente protezione dei CO sulle neoplasie ovariche [16]. È possibile che il rischio di tumore della mammella sia più basso per le formulazioni più recenti, a basso dosaggio [16-19].

Bibliografia
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Figura 1